Un libro a settimana: La pace del cuore di di J.Philippe
16. L’inquietudine di fronte a decisioni da prendere (seconda parte)
Dobbiamo invece accettare tranquillamente che il Signore ci lasci nell’incertezza e non voler « forzare le cose » inutilmente. Ascoltiamo cosa ci suggerisce allora suor Faustina Kowalska: « Quando non sappiamo cosa sia meglio fare, dobbiamo riflettere, considerare e prendere consiglio, perché non abbiamo il diritto di agire nell’indecisione della coscienza. Nell’indecisione (in caso essa perduri), bisogna dirsi: qualunque cosa io faccia andrà bene, visto che ho l’intenzione di fare del mio meglio. Quanto noi consideriamo buono, Dio lo accetta e lo considera come buono. Non ci si rattristi, se dopo un certo tempo non si vedono buoni risultati. Dio guarda l’intenzione con cui avviamo le cose e accorderà la ricompensa secondo questa intenzione. E’ un principio che dobbiamo seguire » (Diario spirituale).
Spesso ci tormentiamo eccessivamente a proposito delle nostre decisioni. Così come c’è una falsa umiltà e una falsa compassione, esiste a volte ciò che potremmo chiamare una « falsa obbedienza » a Dio: vorremmo essere sempre e assolutamente certi di fare la sua volontà in ogni scelta anche piccola e non sbagliare mai. In questo atteggiamento c’è tuttavia qualcosa che non è proprio giusto, per diversi motivi.
Da un lato, questo desiderio di sapere quello che Dio vuole, nasconde talvolta una certa qual difficoltà a sopportare una situazione d’incertezza: vorremmo essere esonerati dal dover decidere noi. Spesso, però, il Signore vuole proprio che sappiamo decidere, anche se non siamo sicuri che quella sia la decisione migliore. In realtà, nella capacità di decidere nell’incertezza, vi è un atteggiamento di fiducia e di abbandono: « Signore, ho riflettuto e pregato per sapere quale fosse la tua volontà. Non vedo le cose molto chiaramente, ma non mi turbo. Non intendo passare ore ed ore a rompermi la testa: decido per tale cosa perché, tutto considerato, mi sembra la migliore, e abbandono tutto nelle tue mani. So bene che anche se dovessi sbagliare non me ne vorresti, perché ho agito con una retta intenzione, e sarai capace di trarre del bene da questo errore. Sarà per me fonte di umiltà e ne ricaverò qualche insegnamento! ».
D’altra parte ci piacerebbe molto essere infallibili, ma questo desiderio nasconde spesso molto orgoglio e anche la paura di essere giudicati dagli altri. Colui che invece accetta di sbagliare di tanto in tanto anche di fronte agli altri, manifesta una vera e propria umiltà e un sincero amore verso Dio.
Liberiamoci dalla falsa idea che abbiamo, su ciò che Dio esige da noi: Dio è padre, buono e compassionevole, conosce le infermità dei suoi piccoli e sa che sono limitati nel giudicare. Egli ci chiede buona volontà, intenzione retta, ma in nessun caso esige che siamo infallibili e che tutte le nostre decisioni siano perfette! Di più, se tutte le nostre decisioni fossero perfette, questo ci farebbe più male che bene. Ci prenderemmo subito per superuomini.
In conclusione: il Signore preferisce che decidiamo senza tergiversare, anche quando siamo nell’incertezza, e che ci rimettiamo nelle sue mani per tutto ciò che accadrà, piuttosto che tormentarci senza mai decidere. Poiché vi è molto più abbandono e fiducia — dunque amore — nel primo atteggiamento che nel secondo. Dio desidera che camminiamo nella libertà di spirito senza troppi cavilli. Il perfezionismo non ha niente a che vedere con la santità.
È parimenti importante saper distinguere i casi in cui è necessario prendere del tempo per discernere e decidere (quando ad esempio si tratta di decisioni che investono tutta la nostra vita), e i casi in cui invece sarebbe sciocco e contrario alla volontà di Dio prendere troppo tempo e precauzioni prima di decidere, quando non c’è molta differenza tra una risoluzione e l’altra. Come ci ricorda san Francesco di Sales, se è normale pesare con cura i lingotti d’oro, quando si tratta di moneta spicciola ci contentiamo di fare rapide valutazioni. Il demonio, che cerca sempre d’infastidirci, fa sì che ci domandiamo per ogni minima decisione se quello che andiamo a fare è o meno la volontà del Signore e suscita inquietudini, scrupoli e rimorsi di coscienza.
Dobbiamo sì avere un costante e profondo desiderio di obbedire a Dio, questo però deve originarsi nell’amore e non nella paura. Proviene dallo Spirito santo, solo se è accompagnato da pace, libertà interiore, fiducia e abbandono; non certo se è causa di turbamento che paralizza la coscienza e impedisce di decidere liberamente.
È vero, d’altronde, che il Signore può permettere dei momenti in cui questo desiderio di obbedirgli ci causa dei veri e propri tormenti. Esiste anche il caso di persone scrupolose per temperamento. Ciò costituisce una prova molto dolorosa dalla quale il Signore non libera sempre totalmente in questa vita. Sta di fatto però che dobbiamo cercare il più possibile di camminare nella libertà interiore e nella pace e sapere riconoscere il demonio quando cerca di utilizzare i nostri buoni desideri per renderci inquieti. Non lasciamoci trarre in inganno.
Quando qualcuno è lontano da Dio, l’Avversario lo tenta attirandolo verso cose non buone. Quando qualcuno è vicino a Dio e desidera piacergli ed obbedirgli, il demonio lo tenta sia per mezzo del male (questo però si riconosce facilmente) sia, più frequentemente, per mezzo del bene. Ciò significa che egli si serve del nostro desiderio di fare del bene per turbarci. Ci presenta come volontà di Dio certe opere buone, ma al di là delle nostre forze del momento, o un sacrificio che non è quello che Dio domanda e così via. Tutto questo per scoraggiarci e farci perdere la pace! Vuole persuaderci che non facciamo abbastanza o che quello che facciamo non lo facciamo per amore verso Dio, che il Signore non è contento di noi, ecc. Egli suscita ogni sorta di scrupoli e inquietudini che noi dobbiamo semplicemente ignorare, gettandoci tra le braccia di Dio come dei bimbi. Quando perdiamo la pace per ragioni simili a quelle appena dette, probabilmente vuole dire che il demonio ci mette lo zampino. Cerchiamo dunque di recuperare la calma e, se non ci riusciamo da soli, apriamoci a una persona spirituale. Il semplice fatto di parlarne a qualcun altro sarà spesso sufficiente a far sì che scompaiano i turbamenti e ritorni la pace. (…)
tratto da “La pace del cuore” di J.Philippe (ed. Dehoniane – Roma)