XIII domenica del tempo ordinario
Nel vangelo di oggi Cristo torna nella sua terra dal paese dei pagani, dove ha cominciato la liberazione dal demonio. Questo suo ritorno è segnato dalla manifestazione di una nuova realtà, cioè la realtà della fede, la realtà che si basa e si realizza in pienezza solo in una relazione di affidamento totale ad una persona concreta che è Gesù di Nazareth, vero uomo e vero Dio. È la relazione che è costituiva dell’esistenza dell’uomo e perciò salva tutta la vita nella sua interezza, dice di dare da mangiare alla figlia di Giairo a far vedere che la vita che riceviamo da Lui – e che noi nel Battesimo abbiamo ricevuto veramente da Lui – non è alternativa alla vita che abbiamo ricevuto dai genitori, ma è una vita che assorbe l’altra salvandola. Non può evitare la morte, ma nell’unione con Cristo questa morte è un passaggio. È interessante perché in tutti e due gli esempi torna il numero 12. L’emorroissa soffre da dodici anni e dodici anni ha la bambina: dodici è il numero di Israele, le dodici tribù sono la pienezza del popolo ebraico, di tutto Israele. Tutte e due vengono chiamate figlie: una lo è e l’altra è così chiamata quando viene guarita. Questa immagine di Israele dice che stiamo parlando della figlia di Sion, colpita davvero da una ferita mortale (cf Ger 14,17). Nessun medico riesce a guarirla, anzi a causa dei medici l’emorroissa è peggiorata senza che servisse a nulla dare tutto ciò che aveva per guarire.