XXXIII domenica del tempo ordinario
l ciclo dell’anno liturgico volge al termine e la chiesa contempla le cose ultime per collocare nella loro vera luce le cose presenti. Gesù era appena uscito dal tempio dopo aver elogiato l’offerta dei due spiccioli della vedova e i discepoli lo invitano a contemplare le meraviglie della sua costruzione. Siamo al cap. 13 di Marco e l’evangelista mette in bocca a Gesù un lungo discorso di stampo apocalittico. Mescola in un’unica sequenza gli avvenimenti della morte-risurrezione di Gesù, della distruzione di Gerusalemme, delle tragedie della storia umana, delle prove e del martirio dei credenti, dei segni cosmici alla fine dei tempi, del giudizio finale imminente. Con la predizione della rovina del tempio, avvenuta per opera dei romani nell’anno 70 d.C., mentre i lavori di ricostruzione, iniziati sotto Erode il Grande negli anni 20/19 a.C., si erano conclusi nell’anno 64 d.C., Gesù mette in guardia i suoi discepoli: sappiate sfuggire all’inganno, vegliate! Quell’avvertimento,Vegliate, è l’ultima parola del cap. 13, quella che introduce il racconto della passione di Gesù. Tutto è orientato alla manifestazione della gloria del Signore crocifisso, non semplicemente nel suo aspetto giudicante alla fine dei tempi, ma nel suo aspetto di rivelazione dell’amore del Padre per i suoi figli che costituisce l’unico mistero significativo per il nostro cuore. Così prega la colletta: “donaci il tuo Spirito, perché operosi nella carità attendiamo ogni giorno la manifestazione gloriosa del tuo Figlio”. La stessa immagine suggerisce il canto al vangelo: “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21,36), da intendere: possiate essere degni di veder manifestato in voi l’amore del Signore in modo tale da vivere la vostra vita nel segno del suo splendore.
L’antifona di ingresso, che riprende alcuni versetti del cap. 29 del profeta Geremia, offre il contesto di intelligenza per le parole di Gesù: “Dice il Signore: «Io ho progetti di pace e non di sventura; voi mi invocherete e io vi esaudirò, e vi farò tornare da tutti i luoghi dove vi ho dispersi»”. È la testimonianza del profeta fatta recapitare per lettera agli esiliati in Babilonia invitati ad accettare la prova nell’attesa dell’intervento liberatore del Signore, senza cedere a false promesse di falsi profeti per false e presunte liberazioni che non ci saranno. Se Gesù è venuto per mostrare la grandezza dell’amore del Padre e per riunire i figli di Dio dispersi, proprio in questo possiamo vedere i progetti di pace di Dio realizzarsi. L’insistenza sulle prove, sui dolori, sulle tribolazioni, sul martirio, che il linguaggio apocalittico esalta con immagini penetranti, non fa che acuire la vista sull’unicum necessario, mantenere cioè il cuore in quell’amore che da lui discende e che a lui riporta perché tutti possa conquistare, finalmente. Al di fuori di lui, progetto di pace di Dio per l’uomo, quell’amore non si attinge e la tragedia della storia resta solo tragedia, la dispersione resta solo un sogno irrimediabilmente infranto che acuisce la rabbia e la separazione tra gli uomini e appressa semplicemente la fine senza far raggiungere il fine. Per questo, quando la prova incombe, la tentazione assale, lo sconvolgimento irrompe, l’avvertimento che risuona è sempre il medesimo: badate bene, state attenti, vegliate! Non ingannate il vostro cuore, non lasciatevi ingannare!
Perché “chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato” (Mc 13,13). La consolazione scaturisce dalla lucidità della coscienza che Lui “è vicino, è alle porte” per indicarci “il sentiero della vita, gioia piena alla tua presenza” (Sal 15,11). Nel bene e nel male che accade, Lui è vicino, possiamo attenderne la manifestazione al nostro cuore, certi che il futuro si decide sulla fedeltà alla sua parola, certi che il male verrà riscattato. Come diceva Gesù a proposito della malattia di Lazzaro: “questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio” (Gv 11,4).
Proprio perché crediamo che l’esito finale sarà la manifestazione gloriosa del regno di Dio, per cui tutti vedranno quanto è grande l’amore di Dio per i suoi figli sia che se ne partecipi nella gioia sia che ce ne si senta dolorosamente privati, ci diamo premura perché anche il nostro agire, nell’oggi che ci è dato, sia teso a rivelare quella manifestazione, a far sì che appaia al nostro cuore, oggi, nel suo splendore, quell’amore che ci è stato riversato nella persona del Figlio dell’uomo. Così, ogni evento della fine non può che ricollegarsi all’evento della morte-risurrezione del Figlio dell’uomo il quale davvero consuma la storia aprendola al suo fine, alla rivelazione di quel progetto di pace. La domanda angosciosa che ci accompagna resta sempre la medesima: ma perché la storia deve contemplare nel suo seno tanto dolore? Perché il Figlio dell’uomo è anche l’uomo dei dolori? Si convince un cuore dell’amore che gli porti se non vede che puoi anche soffrire per lui? E la risposta resta segreta nel cuore di Dio, segreto a cui il cuore attinge quando non si premura d’altro che di condividere il progetto di pace di Dio. Proprio come canta l’antifona alla comunione: “Il mio bene è stare vicino a Dio, nel Signore Dio riporre la mia speranza”. Oppure, come nel ritornello del salmo responsoriale: “Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio”. Da intendere: veniamo custoditi proprio dalla manifestazione dell’amore del Signore al nostro cuore, che così ne resta conquistato, in modo tale che quell’amore risulta il segreto vero della nostra umanità, la nostra radice di vita.
p. Elia Citterio