III domenica di Quaresima
Chi è Dio per noi? Chi siamo noi per lui? Quale relazione può stabilirsi tra noi e lui?
Potrebbero essere queste le domande cui le letture di oggi danno risposta, una risposta che ci spinge ad accogliere e rafforzare il legame con Dio, quel legame forte iniziato con il santo battesimo. Non dimentichiamo che la Quaresima è il tempo destinato a prepararci a rinnovare con decisione gli impegni battesimali, in modo da goderne i frutti con rinnovata consapevolezza!
Dio si manifesta a Mosè. Fuggito dall’Egitto, egli si trova nel deserto a pascolare animali non suoi. Con la fuga ha dovuto abbandonare ogni velleità di salvare il suo popolo dalla schiavitù al faraone e dall’inimicizia che non risparmia nemmeno i suoi fratelli. Egli deve ammettere che l’uomo, con le proprie forze, non può fare nulla a favore dell’uomo. È rassegnato a non poter fare più nulla, ma Dio no, non si rassegna!
Le ingiustizie e il grido degli oppressi sono visti e uditi da Dio, che non è insensibile, né lontano, né indifferente. Egli ha visto pure il desiderio di Mosè: questi con le sue forze non ha potuto fare nulla, ma Dio con lui può realizzare più di quanto egli avesse potuto immaginare e pensare.
Prima di tutto è necessario incontrarsi, conoscersi, stabilire una relazione. Ed ecco che Dio si manifesta agli occhi, agli orecchi e al cuore di Mosè. Anche Mosè si fa conoscere, come se Dio non lo conoscesse già!
Gli occhi di Mosè vedono un fuoco, fuoco che arde senza consumare. I suoi orecchi odono la voce che manifesta i pensieri e il nome di Dio. Il cuore di Mosè comincia ad amare quel Dio che si fa conoscere come l’amico dei suoi antenati, loro protettore, presente alla loro vita. Egli è “Io sono colui che ci sono!”, è colui che accompagna e ascolta, colui che osserva il suo popolo per salvarlo.
Nel mentre si rivela, Dio chiama. Mosè ora è colui che conosce i ‘sentimenti’ di Dio, e non può fare altro che mettersi a sua disposizione. Anch’egli vuole farsi conoscere a Dio, e si fa conoscere come consapevole di non avere capacità, e perciò non vorrebbe lasciarsi coinvolgere.
È difficile però convincere Dio ad abbandonarci alla nostra comodità. Egli lo sa che le nostre forze sono nulle, ma sa che la sua presenza in noi diventa forza travolgente: egli perciò non ci ascolta quando vorremmo esser lasciati in pace.
Mosè, col nome di Dio in bocca, deve andare a lavorare per lui, cioè per il suo popolo! Egli non può più pensare solo a se stesso. È quanto ci raccomanda San Paolo, di non desiderare “cose cattive”, cioè vita egoistica, benessere a buon mercato, senza impegno di fiducia in Dio!
Il popolo, guidato nel deserto da Mosè verso la libertà, “mormorava”, non dava fiducia a Dio, ritenendolo un Dio che non si curava di loro o, addirittura, che voleva il loro male. Era sempre pronto quel popolo a lamentarsi della guida del suo Signore, nonostante avesse già avuto molte prove della sua presenza e misericordia. Chi non dà fiducia all’amore di Dio cade “vittima dello sterminatore”! Non basta ritenersi buoni, perché la nostra bontà è incapacità: solo la forza di Dio in noi ci fa stare in piedi!
Questo messaggio lo devono imparare anche gli abitanti di Gerusalemme. Essi ritengono di essere buoni, migliori dei Galilei assassinati dai soldati di Pilato sul piazzale del Tempio, migliori dei diciotto rimasti sotto le macerie di una torre crollata loro addosso. Essi pensano che chi muore di morte violenta in fondo se lo merita: deve essere gran peccatore per meritare tale castigo! Gesù insegna: «Non ritenerti migliore di nessuno! Se tu non sei morto, ringrazia Dio per la sua pazienza; egli ti lascia vivere ancora un po’ nonostante i tuoi peccati. Il tuo peccato inoltre è grande, è il più grande di tutti: tu infatti vedi il Messia e non ti converti a lui, tu vedi il Figlio di Dio e non ascolti la sua Parola, tu vedi e odi il Signore e non fai nulla per servirlo».
La pazienza di Dio sarebbe già finita se non ci fosse Gesù. Egli è venuto per allontanarelascure dalla radice dell’albero, direbbe San Giovanni Battista. La breve parabola che conclude il vangelo di oggi ci descrive il servizio di Gesù: egli continua a domandare al Padre di darci un anno di tempo, un anno di grazia; egli continua a faticare la fatica della sua passione per donarci quanto necessario perché portiamo frutto nel suo regno. Attraverso il suo Corpo, Gesù, nei suoi santi e nei suoi martiri, continua il lavoro della passione, e così porta frutto, il frutto dolce dell’albero del fico, che è la conoscenza e l’osservanza della volontà del Padre: tutto il mondo ne può godere.
Allora Gesù pensava evidentemente a quell’albero che era il suo popolo, ma oggi la stessa parabola la dice a noi per noi! Egli è il fuoco che ci fa bruciare d’amore senza consumarci, è la voce che ci chiama a rivelare il suo nome agli uomini, perché conoscano l’amore da cui sono amati, e la libertà santa e gioiosa di servirlo! Egli stesso si offre a faticare perché noi pure ci lasciamo coinvolgere dall’amore di Dio per tutti gli uomini, bisognosi di luce, di comunione, di perdono, di salvezza!
don Vigilio Covi