XVII domenica del tempo ordinario

Oggi la liturgia ci introduce al mistero della preghiera. Ascoltando il brano evangelico viene da domandare: cosa hanno visto i discepoli mentre Gesù pregava? Cosa li ha affascinati tanto da indurli a chiedere a Gesù di insegnare loro a pregare? Nella sua risposta Gesù apre come una finestra sul suo mondo interiore. Se Gesù insegna il Padre nostro, vuol dire che ciò che rendeva singolare la sua preghiera era l’intensità di intimità con quel Padre di cui custodiva i comandamenti, di cui annunciava la prossimità, di cui svelava il volto, di cui mostrava la verità nell’amore all’uomo e di cui suscitava la nostalgia in questo mondo.

È lo stesso Padre, a cui si era rivolto Abramo nella sua preghiera di intercessione, preghiera che era scaturita dalla rivelazione che il Signore si apprestava a fargli : “Devo io tenere nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra?”, secondo la proclamazione del salmo: “Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza” (Sal 25,14), che nel testo ebraico suona: “Il segreto (o l’intimità) del Signore è per quanti lo temono”. Abramo, che si sente polvere e cenere, può parlare al suo Signore da dentro l’alleanza che gli è stata offerta e alla quale ha aperto il suo cuore in tutta fiducia.

Quando intercede per Sodoma è come osasse richiamare il Signore alla sua dignità di giustizia e di misericordia, come a lui si era rivelato. Abramo sapeva che non erano bastati otto giusti per salvare l’umanità dal diluvio (nell’arca si salvano Noè e quelli della sua famiglia, otto in tutto). Nella sua intercessione si ferma dunque a dieci: se ci fossero dieci giusti nella città, come potrà il Signore distruggerla, proprio per riguardo a quei dieci? Ma l’umanità non ha dieci giusti, ne ha uno solo: quel Figlio di Dio fatto uomo, l’unico Giusto. Sarà per riguardo a lui che Dio abbandona la sua giustizia per mostrare la sua misericordia. Ogni preghiera si fa forte presso Dio per la forza di quel Giusto che costringe Dio alla misericordia. Sarà quel Giusto a mostrare il volto di misericordia del Padre.

La tradizione ebraica è unanime nel riconoscere ad Abramo la condivisione dei sentimenti di Dio tanto da sembrare che il servo custodisca il senso dell’alleanza in favore di tutti i popoli in modo più sollecito dello stesso Altissimo. E proprio in questo Abramo piace all’Altissimo. Negli antichi racconti su Abramo si fa notare che quando un uomo prega con devozione può star sicuro che la sua preghiera sarà esaudita, perché è detto: “Il desiderio degli umili tu sempre ascolti, Signore, disponi il loro cuore, fai attento il tuo orecchio” (Sal 10,17). Nessuno ha pregato con tale fervore come Abramo: “Lontano da te agire in questo modo, il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te!”. Quando l’Altissimo vide come intercedeva perché non distruggesse il mondo, lo lodò: “Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo, sulle tue labbra è stata versata la grazia” (Sal 45,3).

Nella tradizione cristiana si sottolinea costantemente che ogni nostra richiesta a Dio, se non può essere ricondotta ad una delle domande del Padre Nostro, non sarà esaudita. La preghiera è innalzata a partire dalla percezione dell’alleanza che è già stata offerta, alleanza che è come descritta con la serie delle domande che compongono la preghiera. Alla fine, tutte le richieste confluiscono in una sola, come la conclusione della spiegazione di Gesù mostra chiaramente: “… quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!”. Raramente abbiamo coscienza nella nostra preghiera che questa sia la domanda essenziale, da presentare a Dio con l’invadenza dell’amico importuno, con la mancanza di ritegno della donna cananea (cfr. Mt 15, 28), con l’insistenza della vedova presso il giudice disonesto (cfr. Lc 18,1-8). Quale preghiera sarà esaudita? Sarà esaudito l’anelito del cuore che non si accontenta delle cose che provengono da Dio, ma che cerca proprio Dio, la confidenza con lui. Allora, per le cose di cui abbiamo bisogno, prima che di richiesta, si tratta di affidamento: abbiamo fiducia che Dio dispone ogni cosa per il nostro bene.  Non possiamo pregare se non da dentro quell’alleanza di benevolenza di cui ci ha fatto dono. Fare la volontà di Dio significa prima di tutto fidarsi del proprio Dio, dare credito al suo amore e cercare di stare con Lui, non di avere i suoi doni. Se la preghiera è questo, allora non c’è preghiera che non venga esaudita. Dio cerca adoratori e amici, non semplicemente ‘consumatori’, ‘utenti’, ‘fruitori’, ‘clienti’, termini che ben si addicono a quanti ricercano prima di tutto le cose.

L’insistenza di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” allude alla fatica della preghiera che si muove su due direttrici, quella della profondità e quella dell’intimità. In funzione della profondità lavora la pazienza. Pregare costa fatica.  Diversamente da quanto ci si immagina, la preghiera, per diventare spontanea e forte, deve prima essere tenace. Non è così facile pazientare con il proprio cuore, accettare i suoi tempi, accettare i tempi di Dio, in tutta pace. Non è così agevole entrare nel proprio cuore per poterlo offrire, tutto, a Dio. In funzione dell’intimità invece lavora la sincerità. Non siamo mai sinceri davanti a Dio (ancor meno davanti agli altri e spesso nemmeno davanti a noi stessi), probabilmente per paura. Dove non c’è sincerità, però, non c’è intimità e dove manca intimità l’incontro è freddo e banale. La sincerità dà ali alla preghiera. Imparare ad essere sinceri, fino in fondo, senza barare, è la credenziale migliore alla porta del cielo. E la sincerità migliore è data da un’intercessione del genere: “O Signore del mondo. So che non ho virtù o meriti che ti autorizzino a mandarmi in paradiso dopo la mia morte. Ma se è tua volontà mandarmi all’inferno in mezzo agli empi, sai che non sono fatto per intendermela con loro. Quindi, ti prego di portare fuori dall’inferno tutti i malvagi prima di spedirmi laggiù”.

La drammaticità della logica della preghiera (ottieni se chiedi, non necessariamente ciò che chiedi) è la drammaticità di una relazione d’amore, espressa proprio dalla preghiera di quel Giusto di cui viene detto: “Nei giorni della sua vita terrena egli offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito. Pur essendo Figlio, imparò l’obbedienza da ciò che patì” (Eb 5,7-8). Quell’ esaudito non ha comportato il fatto di essere salvato dalla morte, ma il fatto di non essere vincolato dalla morte, per cui ha trovato vita nella morte e ha potuto farci dono della vita che non è più mortificabile.

padre Elia Citterio