XX domenica del tempo ordinario
Il punto focale della liturgia di oggi è costituito dalla rivelazione di Gesù: “ Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!” (Lc 12,49-50). Nei vangeli sono rari i momenti in cui Gesù apre il suo cuore mostrando il suo vissuto interiore. Con queste parole fa vedere cosa lui vive dentro. È come consumato da un fuoco interiore, dal fuoco di quello Spirito di cui era stato mostrato ricolmo al momento del battesimo nel Giordano e in forza del quale si era avviato risoluto a compiere fino in fondo la missione di rivelatore e testimone supremo dell’amore del Padre agli uomini. Lui sa che quel fuoco lo porterà ad un altro battesimo, quello della sua passione-morte-risurrezione, battesimo che otterrà a tutti noi il dono del suo stesso Spirito.
Un bellissimo commento di s. Ambrogio spiega la natura del fuoco che Gesù vuol gettare sul mondo: “… l’amore possiede la morte e l’amore possiede la gelosia e ali di fuoco possiede l’amore. Tanto è vero che Cristo, che amava Mosè, gli apparve nel fuoco, e Geremia, che aveva dentro di sé il dono dell’amore di Dio, diceva: ‘ E c’era un fuoco ardente nelle mie ossa …’ (Ger 20,9). Buono è dunque l’amore che ha ali di fuoco ardente che vola per il petto e il cuore dei santi e brucia tutto quello che c’è di materiale e di terreno, mentre mette alla prova tutto quello che è puro e migliora con il suo fuoco tutto quello che tocca. Questo fuoco ha mandato in terra il Signore Gesù … Con questo fuoco ha infiammato il cuore dei suoi apostoli come attesta Cleopa, che dice: ‘ Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?’ (Lc 24,32). Ali di fuoco sono dunque le fiamme della Scrittura divina. Tanto è vero che Egli svelava il significato recondito delle Scritture e ne usciva il fuoco che penetrava nel cuore di coloro che lo ascoltavano …”.
Nel vangelo apocrifo di Tommaso si riporta una frase suggestiva che antichi Padri ed esegeti moderni pensano essere propria di Gesù: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco e chi è lontano da me, è lontano dal regno”. La spiegazione è data da Origene. L’uomo che, dopo il battesimo, torna a peccare, per essere purificato, deve avvicinarsi a Gesù, il cui amore tormenta il cuore dell’uomo fino a sciogliere con l’ardore del suo fuoco tutto ciò che lo oppone a Lui e ai suoi fratelli. Ma se l’uomo, con il suo peccato, chiuso nella sua vergogna o, per meglio dire, nella sua presunzione, sta lontano da Gesù, allora per lui il Regno risulta inaccessibile e non troverà né libertà né vita.
E a modo di preghiera Ambrogio ancora commenta: “Risplenda la sua immagine nella nostra professione di fede, risplenda nel nostro amore, risplenda nelle opere e nei fatti, in modo che, se possibile, tutto l’aspetto di Cristo si esprima in noi. Sia lui la nostra testa … lui il nostro occhio … sia lui la nostra voce, perché per mezzo di lui possiamo parlare al Padre; sia lui la nostra mano destra perché per mezzo suo possiamo portare al Padre il nostro sacrificio …” [ Isacco o l’anima, 8,75.77]. Come proclama l’orazione dopo la comunione: “… trasformaci a immagine del tuo Figlio …”.
Del fuoco di Dio si dice che è ‘divorante’ o ‘divoratore’ (Dt 4,24; Eb 12,29). Il fuoco di Dio è divoratore delle divisioni del nostro cuore, divisioni che causano dispersione, duplicità, menzogna, chiusure e quant’altro c’è di cattivo nel cuore che gli impediscono di essere tutto unito e compatto, teso ad un unico desiderio, capace di essere solidale con il suo Dio e con i suoi fratelli, con ogni energia libera per essere impiegata a tale scopo. Il cuore si unifica col fuoco: questa è la verità. E soprattutto questa è la verità del nostro Dio. Lo sperimentiamo anche nella vita psicologica e affettiva: quanto più una passione è forte, più tende a compattare tutto il nostro cuore. Con la differenza che se il cuore si compatta per un desiderio che non sia rappresentativo della totalità e profondità delle nostre aspirazioni più vere, cadrà vittima di quel desiderio e risulterà coartato. Alla fine, si sentirà disperso e vuoto.
In riferimento all’azione del ‘fuoco divorante’ Gesù mette in guardia contro una visione irenica della vita del discepolo: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione” (v. 51). Se il fuoco di Dio distrugge le divisioni nel nostro cuore, allora vuol dire che il cuore non deve più temere le altre divisioni, sebbene dolorose e non volute. Non è possibile tenere insieme tutto. E il cuore deve sentire che, per restare compatto in ciò che ha di più essenziale, non può disperdere tale compattezza in ciò che risulta meno essenziale o addirittura occasionale. È un discorso duro e non per nulla Gesù parla anche di essere venuto a portare la spada, simbolo appunto delle divisioni. Ma è inevitabile. È la legge dell’amore, del fuoco che arde dentro. L’esperienza ci farà capire fino in fondo che solo così viene salvaguardata la libertà e la gratuità dell’amore. Come a dire: la carità non equivale ad una buona intesa; è disposizione al martirio. Lo è stato per Gesù, lo sarà di noi. Ed è una legge di vita. Anzi, la divisione che sembrerà opporti agli altri non è che l’esplicitazione della disponibilità al sacrificio, per amore degli altri, ormai partecipi del mistero della carità divina, del fuoco divino. E anche ogni amore umano degno di questo nome resta attizzato da una scintilla di questo fuoco divino.
La stessa cosa vale per il riconoscimento dei segni dei tempi. Non si tratta tanto di discernere dove va la nostra storia, del resto imprevedibile, ma di scoprire la parte di storia sacra nella nostra storia personale. Discernere i segni dei tempi significa scoprire l’azione di Dio nella nostra storia. E se siamo lambiti da quel fuoco divino, come non discernere che ogni evento può essere vissuto come introduzione al Regno, come apertura del Regno? Ecco perché subito dopo queste parole Gesù invita alla conversione. E la chiesa, consapevole della fragilità e dei timori del cuore dell’uomo, fa pregare con l’antica colletta: “infondi in noi la dolcezza del tuo amore, perché, amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi, che superano ogni desiderio”. Intendendo: quando il nostro desiderio potrà attingere a quella dolcezza, tutti i nostri desideri lì prenderanno vigore.
padre Elia Citterio