XXI domenica del tempo ordinario

Sembra ci sia una contraddizione tra la visione del profeta Isaia e l’avvertimento di Gesù. La salvezza è estesa a tutti, ma non tutti ci entrano; anzi, pochi l’afferrano. Il profeta lascia ai credenti la visione finale del pellegrinaggio escatologico di tutti i popoli a Gerusalemme. Con loro torna anche il popolo di Dio disperso nella diaspora. E – cosa straordinaria! – Dio sceglierà i sacerdoti per il culto non solo tra gli ebrei senza il requisito della discendenza levitica o sadocita, ma anche tra gli stranieri convertiti. Gesù, invece, nel brano che è stato proclamato, all’inutile domanda se siano pochi o tanti quelli che si salvano, risponde indicando la condizione che permette la salvezza: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno” (Lc 13,24).  Se la salvezza è estesa a tutti, perché Gesù mette in guardia?

A dire il vero, Gesù mette in guardia coloro che in qualche modo si ritengono a posto, che se ne sentono in diritto, che non sanno più leggere la vita in termini di gratuità e misericordia. Lo ‘sforzatevi’ è contro ciò che ci impedisce di vedere la salvezza del Signore in termini di gratuità e misericordia. ‘Sforzatevi’ non significa semplicemente: costringetevi a volere fortemente, impegnatevi seriamente. Non allude a una specie di compressione interiore. Allude invece alla scoperta del tesoro del regno di Dio, allude al buon combattimento della fede, come dice Paolo nelle sue lettere a Timoteo: “Ho combattuto la buona battaglia” (2Tm 4,7); “combatti la buona battaglia della fede” (1Tm 6,12). Sforzarsi e combattere, in greco, sono espressi dallo stesso verbo. Allude all’orizzonte della fede che fa schiudere il cuore alla grandezza dell’amore di Dio che ci viene incontro. E ci viene incontro proprio in Gesù, l’Inviato nel mondo per farci conoscere l’amore del Padre e riunirci tutti alla stessa mensa. Ora, è nell’ottica di questo ‘sforzatevi’ che la salvezza è estesa a tutti, senza distinzione.

Il Regno non si impone, non è evidente, non è scontato (cfr Lc 17,21; Gv 14,22), soltanto i violenti se ne impadroniscono (cfr Mt 11,12), soltanto cioè coloro che alle preferenze di Dio non sostituiscono le proprie, ai pensieri di Dio non sostituiscono i propri, alla misericordia di Dio non oppongono la loro giustizia. E per questo Gesù dice: “Sforzatevi”. Acconsentite, cioè, alla forza dello Spirito, come fa pregare la colletta: “… concedi a noi la forza del tuo Spirito, perché unendoci al sacrificio del tuo Figlio, gustiamo il frutto della vera libertà (da noi stessi, dalla curvatura su noi stessi) e la gioia del tuo regno (nel cuore, che vede così compiersi i desideri profondi che cela)”. Nel vangelo di Matteo l’invito a entrare per la porta stretta segue il Discorso della montagna con le beatitudini promesse a chi accoglie Gesù e il suo Regno che è venuto a manifestare (cfr Mt 7,13-14).

Fondamentalmente, però, la tensione interiore che ci è richiesta si appunta sullo stesso Signore Gesù, lui che dice di sé: “Io sono la porta” (Gv 10,9). Lui è la porta stretta attraverso la quale dobbiamo passare. É detta stretta perché ha la preferenza di Dio e non nostra, perché esprime la sapienza che viene dall’alto, che è contraria alla sapienza del mondo di cui siamo impastati; rivela il sentire di Dio, che si oppone al sentire della nostra carne. Ma è una strettezza, come riporta anche il passo della lettera agli Ebrei: “È per la vostra correzione che soffrite” (Eb 12,7), che prelude al passaggio della vita, proprio come per un bambino il quale, per nascere, deve passare per la porta stretta. E non per nulla in Gesù si parla di nuova nascita perché soltanto a partire di lì scopriamo il nostro essere, secondo quell’abbondanza di vita alla quale aneliamo sconfinatamente. La nascita al Regno è descritta qui da Gesù come un banchetto, per sottolineare il mistero della pienezza e dell’intimità dell’amore che hanno conquistato il cuore. L’immagine ha una valenza escatologica, non tanto però per indicare quello che avverrà alla fine dei tempi, ma per mostrare che quella ‘fine’ dei tempi è venuta a visitare il cuore e a far assaporare la densità dei misteri di Dio nella nostra storia.

La situazione di quelli che si accalcheranno alla porta, ormai chiusa, della sala del banchetto, corrisponde a quella di coloro che cercheranno di difendersi davanti al giudice nel giudizio finale: «Anch’essi allora risponderanno: ‘Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?’» (Mt 25,44). Se rileggiamo l’avvertimento della lettera agli Ebrei: è per la vostra correzione che soffrite, con il parallelo del giudizio universale, la deduzione non può che essere di questo tipo: la correzione riguarda l’opportunità di imparare ad amare. Rispetto all’amore, non conta la provenienza, ma la fedeltà; non contano titoli di nobiltà di nessun genere, ma solo lo ‘sforzarsi’, l’accompagnare il cuore, volente o nolente, al dinamismo dell’amore.

Come ci fa pregare l’orazione dopo la comunione: “… perché possiamo conformarci in tutto alla tua volontà, rendici forti e generosi nel tuo amore”, la volontà del Padre è misericordia per i suoi figli e Gesù mostra nella sua persona e nel suo agire la bellezza di questa misericordia che si fa salvezza dei peccatori. Chi si oppone a tale misericordia in nome di qualche altro pur nobile ideale si oppone alla volontà del Padre e non verrà riconosciuto. Il fare la volontà del Padre comporta l’accogliere questa sua misericordia che, estendendosi a tutti, esige che sia condivisa con tutti, pena l’esclusione dalla comunione con il Padre, che è Padre di tutti. Quando Gesù dice che lui è via, verità e vita (cfr. Gv 14,6), come proclama il canto al vangelo, possiamo intendere: non solo il suo insegnamento costituisce la via per arrivare al Padre, ma proprio Lui, la sua persona, è la via che mostra il Padre nella sua benevolenza per noi. Proprio perché lui mostra il volto del Padre in verità e ci introduce nella comunione con la vita sua, che è amore per noi. E se lui costituisce la porta stretta è perché l’illusione della carne la fa da padrona sul nostro cuore, che resta irretito in quello spirito mondano che è il contrario dello spirito evangelico.

Il luogo di passaggio è indicato anche dal profeta Isaia, sebbene velatamente, là dove dice: “con le loro opere e i loro propositi. Io verrò a radunare tutti le genti e tutte le lingue” (Is 66,18). Secondo un’altra traduzione si dovrebbe leggere: “(Sarò) io, i loro atti e i loro pensieri …”, “Sono io che motiverò i loro atti e i loro pensieri quando verrò a radunare tutte le genti”. Da intendere: quando Dio diventa la fonte di ogni nostro atto e di ogni nostro pensiero, saremo passati attraverso quella porta stretta che conduce al regno della vita. E la strettezza, almeno per il nostro uomo esteriore, è descritta sempre dal profeta: “Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi trema alla mia parola” (Is 66,2). Ma scegliere l’umiltà e il cuore contrito significa scegliere il Signore Gesù, che di sé dice: “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt 11,28-29). 

padre Elia Citterio