XXXIII domenica del tempo ordinario
Avvicinandoci alla fine dell’anno liturgico diventa quasi naturale meditare sul momento che ci avvicina alla meta della nostra esistenza, al traguardo, e quindi alla fine di quanto abbiamo visto e goduto lungo il cammino.
L’occasione per parlare di questo futuro viene data a Gesù dai discorsi che egli ode nei piazzali del tempio di Gerusalemme. Questo tempio era una magnifica opera d’arte, una meraviglia per tutti. Come tutte le cose belle e buone anche il tempio diventava tentazione: tentazione di gloriarsi di esso dimenticando di alzare lo sguardo a Dio e di obbedirgli, cioè di essere attenti alla sua vera immagine, l’uomo che ci cammina accanto, anche se povero e sofferente.
Gesù vuole aiutare i suoi ascoltatori a non lasciarsi sedurre, abbindolare e confondere. Tutte le cose di questo mondo spariranno, anche quelle più belle. Tutte le cose belle continuano ad essere cose di questo mondo, destinato a finire. Anche le opere d’arte degli uomini più famosi saranno distrutte o dal tempo o dalla mano di altri uomini. Persino le costruzioni che offriamo a Dio restano soggette a questa legge, e non devono perciò occupare la mente ed il cuore di coloro che sono e vogliono essere di Dio.
Gesù continua il suo insegnamento guardando dentro i secoli futuri, quelli che stiamo vivendo anche noi. Benché siamo capaci di costruire opere grandi, belle e utili, troveremo sofferenze tali che metteranno alla prova il nostro attaccamento a Dio. Cataclismi naturali, guerre tra popoli, odio al nome di Gesù: queste realtà sono e saranno sempre presenti fin che sussisterà questo mondo. I cristiani si trovano in mezzo. Essi devono essere pronti ad affrontare queste cose, e quindi imparano a guardare le bellezze del mondo con un certo distacco.
Gesù si sofferma in modo particolare a considerare le difficoltà dei suoi discepoli. Essi saranno tentati da falsi messia, che vorranno attirare a sé la loro attenzione e quindi ad orientare a se stessi invece che a Dio la loro fede. Bisogna essere fermi e decisi e ben istruiti per non cadere nella trappola di questi falsi Messia, che trovano sempre nuovi argomenti per sedurre i fedeli. È necessario perciò che la nostra fede non sia creduloneria, e quindi che ci istruiamo in modo da saper dare spiegazione a quei dubbi che noi stessi ci poniamo, e a quelli che ci vengono dalle nuove situazioni in cui veniamo a trovarci. È necessario sapere a chi rivolgerci per avere una parola chiara e non rimanere confusi o incerti. Gesù dice addirittura: “ Molti verranno sotto il mio nome…”, molti! Questi “ molti” oggi non vengono soltanto di persona, bussando alla nostra porta, ma anche tramite mentalità diffuse, credenze propinate durante corsi di ginnastica, di musica, di medicina, di danza, ecc. o tramite articoli di giornale o personaggi televisivi o sportivi. “ Non seguiteli”. Gesù è chiaro e deciso.
La stessa decisione dev’essere in noi al presentarsi di guerre o di calamità naturali: scoraggiamenti, disperazioni, tristezze eccessive non sono la reazione di chi sa che il mondo finisce e che noi tutti siamo attesi da Dio Padre. Nemmeno le gravi ingiustizie cui sono sottoposti i credenti a causa della loro fede e delle loro decisioni che contrastano quelle del mondo, nemmeno queste devono spaventarci. Non ci dobbiamo preparare parole di difesa, non ci dobbiamo procurare avvocati: le parole della nostra intelligenza non serviranno. Gesù stesso è capace di suggerirci atteggiamenti e parole che daranno testimonianza a lui. Importante non sarà evitare la nostra sofferenza, ma continuare a dare testimonianza al nostro Salvatore, perché altri lo conoscano e siano aiutati ad accoglierlo.
San Paolo aggiunge un’altra istruzione: sapendo che tutto finirà non ci dobbiamo adagiare in un disimpegno totale, nemmeno sociale o politico. Il credente continua a collaborare con Dio per un mondo ordinato e pacifico anche con il suo lavoro e le sue occupazioni quotidiane. Chi non lavora è di peso agli altri e squalifica la Chiesa di fronte al mondo. “ Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro!” dice il Signore.
In un mondo, groviglio di ingiustizie, il credente vive in modo diverso: il giudizio ci sarà anche per lui, ci ricorda il profeta Malachia.
Pur conoscendo la possibilità del castigo, noi restiamo vigilanti e operosi, non per paura, ma per amore, per amore del Signore Gesù e della sua Chiesa, per amore del Padre, che ci accoglierà alla fine insieme a quelli che avremo aiutato con il nostro esempio ad essere saldi nella fede.
don Vigilio Covi