III domenica del tempo ordinario
In ogni nostra celebrazione avviene quello che l’evangelista Matteo dice quando inizia a raccontare l’apparire in pubblico di Gesù: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”. Dalla tenebra, in cui ogni nostro peccato ci chiude, alziamo lo sguardo, perché il chiedere e ricevere il perdono ci apre orizzonti nuovi.
L’evangelista prende queste parole dal profeta Isaia: sono parole che abbiamo sentito nella prima lettura, nella quale egli ci assicura pure che le umiliazioni provenienti dal Signore saranno ricompensate con una gioia immensa: i villaggi della Galilea hanno subito grandi sofferenze, ma proprio essi saranno testimoni della luce nuova che viene dal Messia, dal Salvatore di tutti gli uomini! Le parole del profeta ci danno consolazione proprio nel mentre siamo anche noi sofferenti, mentre portiamo la nostra croce per l’obbedienza a Dio nel nostro dovere quotidiano e nella fedeltà alla missione ricevuta nella famiglia, nella Chiesa e nella società.
Oggi Gesù, dato che è presente nel mondo, invitandoci alla conversione, ci fa capire che la sua presenza non ci lascia come siamo. Incontrare Gesù vuol dire lasciarci interpellare da lui, e lui ci chiama su strade nuove, a compiti nuovi, ad essere segno e dono anche per altri. La chiamata dei due fratelli Simone e Andrea è una chiamata particolare, come quella di Giacomo e di suo fratello Giovanni. Gesù sta per gettare le basi del suo nuovo edificio, del suo nuovo popolo. In esso dovrà essere vissuta la fraternità. Tutti nel suo regno dovranno essere fratelli: i primi chiamati conoscono già la vita fraterna ed in essa accoglieranno tutti gli altri, che Gesù chiamerà; li accoglieranno nel calore e nella fiducia caratteristici del vivere fraterno.
La loro chiamata è anche un segno, un esempio di come dovrà avvenire il nostro incontro con il Signore: egli, incontrando una persona, non si limita a salutarla, ma la invita a donarsi. Questo è bello: Gesù sa che la pienezza della vita viene raggiunta quando facciamo di essa un dono, poiché questa è la caratteristica della “vita” di Dio! Fare della propria vita un dono, manifestando in tal modo la nostra somiglianza a Dio Padre, comporta abbandonare la nostra abitudine di pensare a noi stessi, a soddisfare i nostri desideri, a badare alle necessità che riteniamo importanti! Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni abbandonano il lavoro, la barca e le reti, e lasciano pure il padre: queste realtà e persone rappresentano il loro passato, le loro abitudini, le tradizioni, i loro affetti e le loro sicurezze umane. Chi le abbandona per seguire Gesù diventa una persona nuova, capace di accogliere la ricchezza di una vita nuova.
Lasciare il nostro passato con i suoi condizionamenti è necessario, altrimenti lo stare con Gesù non porta nessuna novità, diventa illusione e, in seguito, delusione. Chi impara a lasciare qualcosa per amore di Gesù riuscirà a fare quei passi che oggi San Paolo sollecita. Nelle sue comunità cristiane esistevano divisioni e discordie perché qualcuno aderiva al Signore senza aver rinunciato a qualcosa del proprio passato, senza aver rinunciato a se stesso e, soprattutto, senza aver rinunciato a voler essere importante e considerato dagli uomini.
La vita della Chiesa diventa scandalo per le persone che si avvicinano alla fede, se i cristiani che vivono in essa non mettono Gesù al di sopra di tutto, a costo di dire di no a se stessi, o, come dice Gesù a costo di “rinnegare se stessi”, di rinunciare a ciò che piace, a ciò cui ci si sente portati maggiormente. La croce, con la sua sofferenza, non può mancare nella vita del vero credente! Essa è il clima normale di ogni conversione autentica, segno di autenticità di ogni seguace di Cristo Gesù!
Terremo nel cuore, d’ora in poi, il desiderio di muovere dei passi concreti nel seguire il Signore, che posa il suo sguardo anche su ciascuno di noi! In tal modo rendiamo concreta ed efficace la preghiera per l’unità di tutte le Chiese, preghiera che abbiamo presentato a Dio nei giorni scorsi.
don Vigilio Covi