II domenica di Quaresima
Il racconto della trasfigurazione ha senso solo per un cuore che può dire con il salmo: “ Il mio cuore ripete il tuo invito: ‘Cercate il mio volto!’. Il tuo volto, Signore, io cerco” (Sal 26/27,8). Reso nella versione latina con il trasporto dell’emozione: “Tibi dixit cor meum: exquisivit te facies mea; faciem tuam, Domine, requiram”. Non è un caso che la trasfigurazione sia collocata tra due annunci della passione, a sottolineare che il Figlio di Dio risorto e il Figlio dell’uomo che soffre devono stare insieme nella fede dei discepoli. La consegna del silenzio riguarda proprio la natura della gloria di Gesù. Non si tratta di parlare di Gesù in termini di divinità gloriosa e potente, ma in termini pasquali: colui che ha sofferto la passione è colui che viene esaltato con la risurrezione. E questo non poteva essere colto che alla conclusione della storia di Gesù. La cosa ha un risvolto potente, che non è mai assimilato una volta per tutte dai credenti. La profezia di Daniele sul figlio dell’uomo: “ Gli furono dati potere, gloria e regno: tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto” (Dn 7,14) risponde all’essenza di quel silenzio perché l’unico potere di vittoria che Gesù si arroga è quello dell’amore crocifisso. Tanto da far dire al papa Leone Magno: “è più importante pregare per la pazienza che per la gloria”.
In effetti ciò che è decisivo per i discepoli non accade sul monte, ma dopo, quando si ritrovano davanti Gesù solo, senza gloria e senza la compagnia celeste di Mosé ed Elia e devono ridiscendere per annunciare a tutti la verità di Gesù. Mi ricorda la rivelazione di Dio ad Elia che si sente come rimproverare del fatto di attardarsi sul monte e viene invitato a scendere per compiere la sua missione, obbedendo alla voce del suo Dio. Matteo, a differenza di Marco e Luca che senza mezzi termini riferiscono della sua ‘incoscienza’, non infierisce su Pietro che si perde come in un vaneggiamento: “ Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne …”. Origene ha un commento meraviglioso. Come pretende di tenere separati Gesù dalla Legge e dai Profeti? Proprio in quell’occasione Mosé ed Elia vengono illuminati da Gesù sul significato della loro opera e sul segreto di Dio che la loro opera voleva manifestare. Tanto che quando Gesù resta solo, viene come sottolineato che oramai tutto prende luce solo in Gesù. E se Pietro si perde in vaneggiamenti, non fa che riesprimere quello che gli era stato difficile comprendere una settimana prima a Cesarea, quando non riusciva ad accogliere il destino di passione di Gesù.
La sincerità del cuore credente è abbinata all’accoglienza della rivelazione della passione, ad accogliere lo scandalo della croce, come Gesù ripetutamente insegna ai suoi discepoli. La mescolanza di fascino e timore, di attrazione e paura, che suscita il Signore Gesù proprio nel momento in cui lascia trasparire la bellezza del suo volto “altro” (Luca riporta espressamente: “ Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto”) è resa molto bene dagli antichi pittori di icone. I tre apostoli sono raffigurati scaraventati a terra e solo come di soppiatto riescono a intravedere la scena straordinaria che si presenta ai loro occhi. Il testo del vangelo li descrive nell’atto di svegliarsi come da un sonno, resi capaci per un attimo di restare abbagliati dalla visione di Gesù con i suoi interlocutori mentre questi si congedano da lui. Più che la visione il testo accentua la voce: “ Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. Sensazione rimarcata dal fatto che la voce orienta gli sguardi non alla gloria di Gesù, ma al Gesù solo, al Gesù dell’aspetto di sempre, quello che gli apostoli conoscevano bene, quello che con decisione andrà a Gerusalemme per subirvi la passione.
Nel contesto della narrazione evangelica l’evento della trasfigurazione si presenta come la firma all’intero vangelo, che si concluderà con la confessione di fede del centurione sotto la croce e con la glorificazione di Gesù, il Crocifisso. Quel Gesù, di cui è detto alla fine dell’evento della trasfigurazione: “ Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo”, è proprio il Figlio di Dio che annuncia agli uomini la volontà del Padre e l’evangelo del Regno.
Nel cammino degli apostoli l’evento della trasfigurazione, riservato ai tre discepoli che presenzieranno al dramma del Getsemani, ha un valore di conferma nella loro fede in Gesù, fede che sarà duramente messa alla prova al tempo della passione. Non che l’evento risparmi agli apostoli la prova, ma farà in modo che i loro cuori, quando saranno smarriti e confusi, non si separeranno dal loro maestro, anche se momentaneamente lo abbandoneranno. È anche lo scopo segreto della preghiera. Non si tratta di godere di una visione, ma di essere confermati nel cuore per poter sostenere la prova e seguire il Signore fino a gustarne la compagnia nelle afflizioni sopportate per amore di lui. Quella ‘sopportazione’ non riguarda la propria fedeltà, ma la solidarietà con i nostri fratelli fino a far splendere davanti a loro la bontà del Signore che non vuole che nessuno si perda, ma che tutti abbiano la vita. Lì conduce la visione della ‘gloria’ di Gesù, il Testimone per eccellenza dell’amore del Padre per gli uomini. E questo è il senso della preghiera della Chiesa nel tempo quaresimale.
L’esempio di Abramo è eloquente. Sente la voce di Dio: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre”. L’espressione singolarissima, nel testo ebraico, è ‘lek leka’, che traduciamo con ‘vattene’, ma che andrebbe resa, secondo la vocalizzazione tradizionale: ‘vai a te’, ‘vai verso te stesso’, ‘vai per te stesso’. Contemporaneamente un esodo e un ritorno. Un esodo da qualcosa che impedisce la scoperta del senso pieno del vivere e un ritorno a ciò che ci costituisce nell’intimo per vivere in gratuità e servizio la nostra vocazione all’umanità. Abramo n on conosce nulla del nuovo paese: sa solo che Dio gliene fa promessa. Sarà il suo ascoltare che gli consentirà di vedere la benedizione realizzarsi. Proprio perché accetta la relazione con colui che lo coinvolgeva nella sua storia sacra fino a diventare il suo Dio, lascia la sua casa (se scegli il Padre celeste, devi lasciare quello terreno; se scegli il regno di Dio, devi lasciare ogni altro regno; se ti accetti da Dio, di Dio e secondo Dio devi vivere, come dirà Cipriano nel suo commento al Padre nostro) e per questo, oltre a godere della benedizione di Dio, diventa benedizione lui stesso per tutti perché rivela la grandezza dell’amore di Dio e lo splendore che si irradia su tutto.
Così, se Abramo ascolta Dio, Gesù ascolta il Padre, i discepoli ascoltano Gesù e il frutto della benedizione promessa rivelerà il suo splendore. Per gli uomini, quello splendore consisterà nel condividere, nella loro umanità, lo sguardo di compiacenza del Padre, che riposa tutto sul suo Figlio benedetto, fatto uomo. L’ascolto condurrà così alla visione di colui che, mentre ci squaderna il segreto di Dio per l’uomo, fa rilucere il mondo dello splendore della sua bellezza.
padre Elia Citterio