XIV domenica del tempo ordinario
Lo Spirito Santo, ci dice oggi San Paolo, abita in noi, ci dà la vita, partecipazione a quella perfetta di Dio. E noi sappiamo che la perfezione di Dio consiste nella sua misericordia, che Gesù ha vissuto sulla croce, quando ha potuto dire: “Tutto è compiuto”, cioè tutto è perfezionato. Infatti aveva vissuto l’amore fino alla fine, fino a chiedere il perdono per i nemici, per i peccatori che lo bestemmiavano. Ma, dice l’apostolo, lo Spirito di Dio ci aiuta anche a far “morire le opere del corpo”. Le opere del corpo sono quelle manifestazioni e conseguenze del nostro egoismo che ci fanno star male, che ci disorientano e ci dividono, lacerando i nostri desideri di bene e l’armonia con le altre persone. Opere del corpo sono anche le tendenze a soddisfare il nostro orgoglioso bisogno di sentirci a posto: queste infatti aprono la porta per far entrare in noi orgoglio e superbia. L’orgoglio e la superbia ci impediscono poi di accogliere i piccoli e grandi segni e gesti attraverso cui Dio si rivela e si dona agli uomini.
Ci dice la stessa cosa anche Gesù, quando si confida ed esultando benedice il Padre. Questi rivela ai piccoli i suoi misteri, che tiene invece nascosti “ai sapienti e ai dotti”, a coloro che si ritengono importanti e non sanno umiliarsi ad accettare che Dio, il Dio grande e terribile, si faccia incontrare da noi attraverso un uomo, il Figlio suo venuto nella povera condizione umana.
Chi conosce il Figlio? Chi lo sa accogliere ed amare? Soltanto il Padre lo conosce e lo ama, e quindi è necessario incontrare il Padre, conoscere e amare Dio come Padre! Ciò è possibile al Figlio, quel Figlio che può parlare ai nostri orecchi perché la sua voce li raggiunge in modo del tutto naturale: proprio per questo ha assunto la nostra condizione umana. Il Figlio conosce il Padre: noi staremo perciò vicini a lui, sotto l’influsso della sua presenza e del suo Spirito, in modo da ricevere la sua rivelazione del Padre! Egli stesso ci invita: “Venite a me voi tutti che siete stanchi e oppressi…”.
Quante volte abbiamo udito queste parole? E quante volte le abbiamo dimenticate? Quando le abbiamo prese sul serio e abbiamo ubbidito avvicinandoci a lui, siamo forse rimasti delusi? Fatiche e oppressioni si rincorrono, ne abbiamo sempre di nuove, e sempre di nuovo cerchiamo…, forse dimenticando che altre volte abbiamo già avuto il ristoro da Gesù!
“Prendete il mio giogo sopra di voi”: il giogo è lo strumento che il contadino pone sul collo dell’animale per fargli trainare il carro. Se il carro è pesante, è pesante il giogo. Se il carro è leggero anche il giogo è leggero! Il giogo che abbiamo adesso è molto pesante, perché stiamo tirando il carro carico dei pesi del nostro egoismo. Volendo fare da soli o con l’aiuto di altri uomini, il nostro carro ci fa fare molta fatica e non ci dà soddisfazioni. Il giogo ha anche il ruolo di tenere uniti due animali per tirare lo stesso carro: Prendere il giogo di Gesù significherebbe, in questo caso, unirsi a lui, alla sua fatica, al suo compito nel mondo. Quale carico ci fa tirare Gesù? I pesi del carro di Gesù sono fatti di amore, e l’amore non opprime. Se tiriamo il carro insieme con lui, il giogo di Gesù pesa tutto sulle sue spalle, e a noi resta la soddisfazione e la pace!
Il carro di Gesù non è un carro da guerra. Ce lo dice il profeta Zaccaria con la bellissima e semplice immagine del re che viene. Egli è “giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino”, e per questo il suo carico è leggero, e siccome egli è umile il suo giogo è dolce!
Vengo, Signore Gesù: porterò il tuo peso, così conoscerò il Padre che ti ama e ti manda, lo amerò e riceverò il suo amore che riempie di dolcezza la mia vita, che diverrà dono di Dio per i miei fratelli!
don Vigilio Covi