XVII domenica del tempo ordinario

Per cogliere la portata di rivelazione delle parabole di oggi mi rifaccio a due altri passi del vangelo che riportano due affermazioni di Gesù: “ Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore” (Mt 6,21) e “ di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc 10,42). La sottolineatura è la seguente: il cuore cerca il suo tesoro; un solo tesoro conta! L’affermazione non riguarda solo la cosa, cioè il tesoro, ma anche il cuore, vale a dire: il cuore è strutturato per godere del tesoro che lo riempie.

L’accento delle parabole di oggi non è posto sulle cose (tesoro o perla) ma sull’azione della scoperta. Come se Gesù dicesse: il regno dei cieli è simile a quando un uomo scopre un tesoro e pieno di gioia vende tutto quello che possiede per impossessarsene. Così, l’uomo non è chiamato a lasciare tutto per il Regno dei cieli, ma che lascia tutto perché trasportato dalla gioia di una scoperta che gli riempie il cuore. Il Regno non si contrappone a nulla di per sé. Non è la perla più bella delle altre. È, più semplicemente ma più potentemente, la perla di ‘grande valore’; è il tesoro tra i beni e non un bene più prezioso degli altri beni. È l’unica cosa di cui c’è bisogno (da intendere: l’unica cosa che può riempire il cuore, l’unica cosa che durerà per sempre, l’unica cosa che dà valore a tutto il resto e in funzione della quale tutto il resto è vissuto). Saper cogliere questo è frutto di sapienza e la colletta fa pregare: “concedi a noi il discernimento dello Spirito, perché sappiamo apprezzare fra le cose del mondo il valore inestimabile del tuo Regno, pronti ad ogni rinunzia per l’acquisto del tuo dono”.

Se percorriamo i libri sapienziali, che spesso usano l’immagine del tesoro per descrivere la sapienza, scopriamo una cosa assolutamente singolare. Nella tradizione profetica di Israele il timore del Signore è calcolato come il tesoro dell’uomo retto (cfr. Is 33,6) e quando il libro del Siracide riprende il tema del timore del Signore così lo descrive: “ Il timore del Signore è come un giardino di benedizioni e protegge più di qualsiasi gloria” (Sir 40,27). Il tesoro comporta ogni tipo di benedizioni e prevale su ogni altra possibile gloria. È quello che s. Paolo descrive nella sua esperienza di incontro con Gesù là dove riporta: “ Noi infatti non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù. E Dio, che disse: «Rifulga la luce dalle tenebre», rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo. Noi però abbiamo questo tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi” (2Cor 4,5-7).

Ecco la scoperta singolare. Il tesoro non è solo una ricchezza, ma una potenza, la potenza di un amore che conquista e trascina, potenza che è riferita all’amore misericordioso di Dio che, prevalendo su tutto, rende libero il cuore con la gioia che dona. Non si tratta evidentemente di una gioia soddisfatta, ma di una gioia che fa attraversare tribolazioni e prove pur di non perdere mai l’amore, pur di far arrivare a tutti l’amore.

La parabola della rete completa l’immagine del tesoro come potenza perché rimarca che solo alla fine verrà esaltato l’amore del Signore, per cui ciò che si richiede ai discepoli è la perseveranza sino alla fine. Come è detto di Gesù prima della sua passione: “ avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1), intendendo: fino a che quel suo amore si manifestasse in tutto il suo splendore. E a questo collego la finale del brano di oggi quando Gesù dichiara: “ Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Sarebbe suonato più logico dire cose antiche e cose nuove. In gioco qui non c’è la somma dell’Antico e del Nuovo Testamento, ma l’azione dello Spirito che guida a tutta la verità (cfr Gv 16,13). Io intendo: non si tratta di fare memoria di quanto ho in precedenza imparato, ma di aprire ogni evento che succede per fare esperienza dell’amore del Signore in modo che la novità dell’evento si innesti nella testimonianza di cui custodisco la memoria. Anzi, serva a ravvivare quella memoria, a confermarla, ad accrescerne la vivacità e l’intensità.

Quella memoria è frutto di una sapienza dall’alto, come Salomone domanda a Dio, che attiva il principio del discernimento proprio in vista del tesoro del Regno dei cieli, godibile per il nostro cuore. Non per nulla, s. Antonio il Grande, padre del monachesimo egiziano, diceva che il discernimento è la virtù essenziale, la più fondamentale. La domanda finale di Gesù ai discepoli allude proprio a questa operazione del cuore: avete afferrato che cosa le mie parole abbiano a che fare con la vostra vita? Allora unirete la comprensione all’ubbidienza e all’azione, nella fiducia in me che vi parlo e consegno a voi i miei segreti, che diventeranno i vostri stessi segreti.

Ritornando al racconto delle parabole, sottolineo di nuovo che il punto nevralgico per la loro comprensione è dato dalla gioia della scoperta, dell’incontro. Tutta l’azione successiva scaturisce dalla gioia prorompente della scoperta. Senza quella gioia non è possibile concepire nessuna azione significativa a livello dell’orientamento della propria vita, sebbene le parabole alludano anche ad altre dinamiche, più nascoste ma non meno vere.

Alla dinamica di ricerca, anzitutto. Non si scopre a caso. Ci deve essere, di fondo, una passione per ciò che è prezioso, una inquietudine che non ti lascia vaneggiare o istupidire. Non sono sufficienti, al cuore dell’uomo, le cose che arriva a possedere; ha bisogno di cogliere quello che dentro le cose vive e attira, quello che solo può colmare il suo desiderio.

Alla dinamica di compravendita. Ciò che è prezioso non sta insieme a ciò che è vile, ciò che è profondo a ciò che è superficiale, ciò che ha sostanza con ciò che ha solo apparenza. Perlomeno, insieme non possono stare tanto tempo e difatti viene il momento in cui ci si deve disfare di una cosa per comprare l’altra. È inevitabile.

Alla dinamica di rischio. Più grosso è l’affare, più alto il rischio. E quando il tesoro o la perla trovata sono incomparabilmente più preziosi di tutto quello che ci si sarebbe potuti immaginare di trovare, allora ci si disfa di tutto. Il tutto di cui ci si disfa è direttamente proporzionale alla preziosità del tesoro trovato. La molla che permette, anzi che spinge al rischio della compravendita è appunto la gioia, percepita così profonda da cacciare ogni timore, con un cuore mai sazio del suo Signore come mai sazio di vita e di amore.

padre Elia Citterio