XXVI domenica del tempo ordinario
Il profeta Ezechiele ci offre un ragionamento semplice, ma severo: egli sa che gli uomini spesso bestemmiano, cioè attribuiscono a Dio il male che succede: « Voi dite: “Non è retto il modo di agire del Signore” ». Come fa un uomo a giudicare il Signore, il creatore del cielo e della terra? Può un uomo essere più buono di lui? O più sapiente? O più previdente? Non è questo pensiero un’ingiustizia che porta a grandi disobbedienze, e quindi a rovinare la propria vita? Se tu ti ritieni giusto, ma condanni Dio, non solo sei ignorante, ma anche colpevole e meritevole di castighi. Al contrario, chi sa d’essere peccatore, se comincia a ubbidire a Dio, riceve la sua vita!
Le parole del profeta servono a Gesù per formulare la parabola di oggi: due figli vengono interpellati dal loro padre per lo stesso servizio, il lavoro nella sua vigna. La vigna è il popolo che deve essere riunito, purificato e santificato. Così dirà Dio stesso proprio nel libro di Ezechiele: per farsi conoscere a tutti i popoli come il Dio santo e vero, deve radunare i figli dispersi, purificarli dagli idoli e dar loro un cuore nuovo, capace di contenere il suo Spirito. Il lavoro sarà quindi in questa direzione: collaborare a radunare gli uomini, che siano uniti nella Chiesa, a farli allontanare dagli idoli, cioè dai vizi divenuti diritto quasi sacro o persino ritenuti necessari alla vita umana, a comunicare loro la Parola di Dio che santifica con la sua ricchezza di sapienza e di Spirito Santo!
I due figli vengono richiesti di questo lavoro dal loro padre. Due figli: i discepoli sanno che Gesù, parlando del primo figlio allude agli ebrei, il figlio prediletto, e, parlando del secondo, allude ai pagani – cui si possono associare i peccatori, – il figlio scapestrato. Il Padre chiama tutti e due a collaborare con lui. Il tempo di Gesù è il tempo della chiamata.
Quale dei due figli correrà a offrire la propria fatica per realizzare i desideri del Padre? Si offriranno tutt’e due? Gesù dà una risposta inaspettata: quel figlio da cui il Padre si attenderebbe pronta risposta, dà subito il suo assenso, ma solo a parole. Con i fatti egli delude il Padre. L’altro figlio, quello da cui ci si aspetterebbe un netto rifiuto, in effetti afferma la propria indipendenza e svogliatezza, ma poi è capace di cambiare decisione; ha l’umiltà di rimettersi in discussione e di offrirsi ad eseguire la richiesta del Padre rinunciando ai propri progetti, ai propri gusti e alle proprie comodità.
Questa è una parabola, molto simile alla realtà: Gesù propone subito l’attualizzazione: pubblicani e prostitute, cioè coloro che dichiaratamente vivono disobbedendo ai comandamenti, sono in effetti migliori dei più zelanti religiosi. Quei peccatori, sapendo d’essere in peccato, hanno accolto l’invito di Giovanni Battista a compiere il gesto penitenziale del battesimo per disporsi a credere a colui che viene dopo di lui, e sono pronti quindi a riconoscere Gesù come Messia, ad ascoltarlo per ubbidirgli.
Vale anche per noi l’osservazione di Gesù? Ci aiuta la seconda lettura. C’è in noi la volontà di conservare l’unità di spirito e di carità con i fratelli? Oppure ci lasciamo andare a far valere diritti, a vendicare torti subiti, a togliere il saluto e la carità a fratelli che ci hanno danneggiato, anche a costo di dividere la Chiesa di Dio? Diciamo di amare Gesù, ma gli facciamo fare brutta figura, come fosse un pastore incapace di guidare le sue pecore, come fosse capo di un corpo dilaniato. Gesù spogliò se stesso, rinunciò alla sua gloria per amarci: noi per amarlo non rinunciamo a nulla, non ci umiliamo di fronte ai fratelli. Lo sappiamo, i nostri fratelli sono peccatori. Vorremmo che fossero santi e perfetti senza fare la nostra fatica per essere un solo corpo e una sola famiglia con loro?
Voglio lavorare nella tua vigna, Padre: mi costerà fatica lavorare insieme a qualcuno che non mi ama come vorrei, ma – per amor tuo – eccomi!
Don Vigilio Covi