Prima domenica di Avvento
L’invito che percorre tutto l’Avvento è ‘fate attenzione’, ‘vegliate’. L’invito riguarda la tensione dello sguardo puntato verso un unico punto. Volgete lo sguardo al Figlio dell’uomo che per voi ha patito, è morto, è risorto, sul quale giocare il desiderio del cuore, la responsabilità dell’agire e il segreto della vita. È caratteristico che il passo evangelico proclamato oggi: “Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!” (Mc 13,37) sia seguito immediatamente dal racconto della passione di Gesù. La vigilanza, di cui ci è fatto comando, riguarda la capacità di cogliere la grandezza dell’amore di Dio che in Gesù si è manifestato in tutto il suo splendore. È quell’amore che ci salva dall’angoscia, che ci custodisce nell’agire e ci fa scoprire il segreto del vivere.
Nel racconto della passione, il vangelo riporta lo stesso invito di Gesù ai tre discepoli con cui si era accompagnato nell’orto del Getsemani: “Disse loro: «La mia anima è triste fino alla morte. Restate qui e vegliate»” (Mc 14,34). E Matteo aggiunge: “restate qui e vegliate con me” (Mt 26,38). La motivazione? Il momento è terribile e Gesù (credo sia l’unica volta che Gesù chieda qualcosa ai discepoli e poi si lamenta che l’hanno lasciato solo!) ha bisogno di ‘compagnia’. Quella compagnia non è semplicemente per lui, ma per loro stessi perché sarà difficile per loro intravvedere l’opera di Dio nella sua passione e credere al suo amore salvatore. Forse memori di questo evento, alcuni codici antichi riportano l’invito di Marco alla vigilanza così: ‘vegliate e pregate’. La veglia è per la preghiera e la preghiera è per la visione di Dio nel suo donarsi a noi e per noi.
La lettura della storia da parte del profeta Isaia la dice lunga sul mistero di tale vigilanza. Il popolo di Israele ha riconosciuto l’intervento straordinario del suo Dio quando lo liberava dalla schiavitù dell’Egitto ma presto, di fronte alle nuove fatiche, se ne scorda. Vorrebbe trovare una scorciatoia per non penare più e si costruisce un dio su misura. Ma i nemici incalzano, le sciagure incombono, la paura serpeggia sempre e allora il popolo torna a invocare il suo Dio: “Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi … Siamo diventati da tempo gente su cui non comandi più, su cui il tuo nome non è invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi!” (Is 63,17-19). Proprio il grido che attraversa l’avvento: se tu squarciassi i cieli e scendessi! Solo che il grido non è più volto semplicemente a ottenere che Dio venga in mezzo a noi (la festa del Natale celebrerà appunto questa venuta nella carne del Figlio di Dio), ma è volto a cogliere nel nostro cuore la manifestazione del Figlio di Dio nella sua potenza di salvezza. Come invoca anche la preghiera del Padre nostro: venga il tuo regno, cioè venga in noi, si manifesti in noi il tuo regno.
Lo sottolinea il canto al vangelo riportando un versetto del salmo 84 (85), 8: “Mostraci, Signore, la tua misericordia e donaci la tua salvezza”. Il testo del salmo continua: “Ascolterò che cosa dice [in me] il Signore: egli annuncia la pace per il suo popolo … Amore e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno”. Versetti che noi potremmo interpretare: una volta che il Signore è riconosciuto abitare nel nostro cuore perché cercato e accolto, ecco quello che avviene: il suo amore di misericordia risponderà alla verità del nostro riconoscerci peccatori; il bene che da lui procede si salderà al perdono vicendevole che ci farà vivere in pace. Così la nostra umanità si scoprirà trasfigurata dallo Spirito come l’umanità di Gesù, il testimone per eccellenza dell’amore del Padre per i suoi figli.
È esattamente quello che s. Paolo si augura per la comunità di Corinto quando dice loro: “La testimonianza di Cristo si è stabilita tra voi [in voi] così saldamente che non manca più alcun carisma a voi, che aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo”. Ecco, la vigilanza che percorre il tempo dell’avvento non è semplicemente l’attesa di un evento ma la sensibilizzazione alla percezione di una Presenza che da dentro prorompe, si manifesta e contagia di letizia. L’invito è a oltrepassare la cronaca per intessere una storia, la storia d’amore di Dio con l’uomo.
Proprio come la preghiera della chiesa nell’avvento ci fa invocare insistentemente perché il cuore riconosca nel Signore Gesù l’opera di salvezza di Dio. Il ritornello, costante, della preghiera in questo periodo è dato dai due versetti presi dal Salmo 79: “risveglia la tua potenza e vieni a salvarci” (v. 3); “o Dio, fa’ che ritorniamo, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi” (v. 4, 8, 20). Perché si arrivi a godere di quello che lo stesso salmo proclama: “Da te mai più ci allontaneremo, facci rivivere e noi invocheremo il tuo nome” (v.19).
Ora, attendere la manifestazione del Signore non significa guardare al ritorno glorioso del Signore quando si chiuderanno i tempi e la sua parola giudicante svelerà tutta la verità. San Paolo, dicendo che una comunità credente ‘aspetta la manifestazione del Signore’, come lo stesso verbo greco indica, allude all’atteggiamento del cuore che vive ogni tempo e ogni circostanza in funzione dell’incontro con il Signore Gesù, percepito nella grazia della sua presenza. D’altra parte, chi riceve le parole del Signore, chi si sforza di metterle in pratica senza desiderare di poter percepire e vedere la presenza del Signore nella sua vita? Questo è appunto l’oggetto specifico della vigilanza, mentre la sua dinamica è la tensione a entrare nel processo della manifestazione del Signore al nostro cuore, nel concreto della nostra storia, manifestazione di cui la nascita di Gesù a Betlemme presenterà la realtà alla nostra portata. Se a livello dell’agire dell’uomo la vigilanza si risolve nella fatica di evitare il male e di compiere il bene, a livello del cuore si risolve in una memoria calda della presenza del Signore, in una memoria di eventi e parole che ci possono significare quella presenza, memoria che tenda a esplodere nella percezione della sua presenza. La vigilanza allora è il compito di responsabilità dei servi della parabola del vangelo in attesa del ritorno del loro padrone. Perché è nello splendore di quella presenza percepita che possiamo vivere fino in fondo la nostra vocazione all’umanità e tornare a far risplendere il mondo della luce di Dio.
Ma c’è ancora dell’altro. Se leggiamo il passo parallelo di Lc 12,37, veniamo a sapere come si manifesterà il Signore: “si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli”. L’accudire ai fratelli non è soltanto agire bene, ma partecipare al servizio divino dell’umanità. Come a dire: quando accogli il tuo fratello perché guardi al tuo Signore, il tuo cuore godrà dall’essere accudito dal suo Signore e non potrà non condividere con lui l’ansia di arrivare a tutti perché lo splendore della sua presenza prevalga comunque.
padre Elia Citterio