XXXIII domenica del tempo ordinario
Le letture di oggi si aprono con una paginetta simpatica: l’elogio della donna perfetta, quella donna che è difficile trovare, ma che comunque si trova più spesso di quanto si pensi. È la donna laboriosa, sempre in attività. Nel suo lavoro però ella non si limita a pensare soltanto alla propria famiglia, nè tanto meno a se stessa, ma tiene conto dei poveri di Dio, di coloro cui nessuno pensa e che non riescono a badare a se stessi: ella si sente incaricata di far loro giungere i segni dell’amore del Padre. Anch’essi sono amati dal suo Dio, il quale si serve dei suoi figli capaci per provvedere ai figli inesperti o incapaci.
La donna che vive in questo modo è un’immagine degna del servo che sa trafficare i talenti che il padrone gli ha lasciato in custodia prima di partire.
La ben nota parabola narrata da Gesù infatti descrive la vita di coloro che lo amano, e che continuano ad amarlo anche nel tempo in cui non lo vedono e in cui egli sembra del tutto assente. L’uomo che se ne va per un viaggio, che ha dei servi più o meno fedeli, e ritorna dopo molto tempo ricordandosi ancora dei compiti affidati a ciascuno di loro, quest’uomo chi altri può essere se non lo stesso Gesù? Egli affida tutto quello che ha ai suoi servi, a chi più a chi meno, secondo le loro capacità. Si può quasi dire che lascia il mondo intero nelle loro mani. Rimasti soli, alcuni servi si occupano soltanto delle “cose” del loro padrone: è segno che lo amano, che gli si sono affezionati, che sono sicuri del suo ritorno, che vogliono la sua gioia. Essi non si preoccupano di “realizzarsi”, perché vogliono realizzare i disegni del loro padrone! C’è però anche qualche servo che lascia perdere le cose del suo padrone e pensa solo a cose proprie. È segno che egli lascia perdere il rapporto con lui, non lo ama, non lo attende, e perciò non può avere che paura di lui e di un suo possibile ritorno.
Dentro questi due comportamenti ci stiamo tutti. Qualcuno di noi attende con gioia la venuta del “Figlio dell’uomo”, e perciò vive compiendo la sua volontà. Qualcuno di noi vive sempre orientato solo a se stesso, e perciò non aspetta la venuta del Signore, e, caso mai, ne ha paura! Ma spesso ciascuno di noi vive tutti i due atteggiamenti a intermittenza.
Attendendo il Signore, cosa facciamo? Possediamo soltanto i suoi talenti, e perciò siamo solo amministratori di beni non nostri. Che cosa sono queste ricchezze infinite? Di certo Gesù, quando parlava di talenti, non pensava di lasciarci da amministrare denaro, campi, fabbricati o tesori terreni. Credo che i talenti, che Gesù ritiene debbano occupare il nostro tempo e le nostre energie, siano realtà ben più grandi e diverse dalle ricchezze materiali!
Talento immensamente grande e prezioso è la sua Parola. È una Parola creatrice, sapiente, vera, piena di vita la sua. Altro talento è la fede, la fede nell’amore misericordioso del Padre e l’abbandono gioioso alla sua volontà. Altro talento è la speranza, come attesa dei beni da lui promessi in vista dell’eternità. Altro talento sono le nostre mani, capaci di protendersi per dare segni di amore, di comunione e di pace ai figli di Dio perché sono nostri fratelli. Talento prezioso è anche quella vigilanza del cuore che sa stare attenta alle cose piccole e alle cose ultime, e perciò riempie continuamente di sapienza ogni momento della vita senza lasciarsi ingannare dalle apparenze, dalle false sicurezze dei beni materiali e dei successi umani, sempre effimeri. Questo insegnamento ci viene dall’apostolo San Paolo, che nella sua vita ci è stato maestro nell’uso di tutti i talenti ricevuti dal suo e nostro Signore Gesù.
Chi desidera la gioia che dura per sempre non cerca libertà fuggendo da Gesù, bensì la libertà di vivere sempre per lui, usando tutti i talenti per il suo regno. Egli si sentirà dire: “Bene, servo buono e fedele… prendi parte alla gioia del tuo padrone”!
don Vigilio Covi