XXXI domenica del tempo ordinario
Ci troviamo ormai a Gerusalemme e Cristo ha già compiuto il gesto forte di cacciare i venditori del tempio. Dopo essere stato interrogato da sommi sacerdoti, scribi e anziani sulla sua autorità e sulla resurrezione dei morti ora subisce per la terza volta una sorta di interrogatorio. Questa volta è uno degli scribi, certamente a conoscenza che Cristo compiva gesti significativi nel giorno di sabato, a porgli la questione di quale è il grande comandamento, quello che anche Dio ha osservato e per questo considerato il primo di tutti i comandamenti, cioè il riposo del sabato.
Ma Cristo risponde a un livello più profondo di come si aspettava lo scriba. Cristo intende la domanda piuttosto nel senso di quale è quel primo comandamento dal quale in qualche modo dipendono tutti gli altri, dal quale gli altri derivano, quello che sta a monte. Per questo motivo la risposta di Cristo è difatti sorprendente ed è curioso che lo scriba fino a un certo punto riesca a cogliere la profondità della risposta di Cristo che infatti attinge alla confessione di fede di Israele.
I testi del Deuteronomio e del Levitico che Cristo unisce nella sua risposta costituiscono due livelli di azione.
Il primo comincia con ascolta, Israele e fa appello all’accoglienza assoluta di ciò che dice il Signore. Non dimentichiamo che la fede comincia a disegnarsi nella Bibbia con la chiamata di Abramo (cf Gn 2,1-4), Abramo sente la chiamata di Dio e immediatamente parte. Ascoltare significa accogliere colui che parla come l’epicentro della propria vita, leggere sé stesso nell’ottica di colui che chiama, comprendersi a partire da colui che chiama. Tutta la parabola di Abramo viene descritta come la crescita e la maturazione di una vita vissuta assolutamente in relazione con colui che chiama. L’accoglienza del Signore sarà il gesto indispensabile per Abramo per esplicitare veramente che la sua vita, le sue azioni e il suo pensare trovano fondamento e senso nel Signore. Nel padre della fede e dei credenti è proprio la parabola di porgere l’orecchio. Da questo scaturisce l’accoglienza. San Paolo stesso esplicita che “la fede viene dall’ascolto e l’ascolto riguarda la parola di Cristo” (Rm 10,17).
La seconda azione invece, amare il Signore, è conseguenziale perché l’accoglienza non può essere fatta se non da tutta la persona. Come dice Vladimir Solovev l’amore è l’unica realtà che coinvolge e integra tutta la persona. La persona si realizza nell’amore, come amore. Questo è ciò che il vangelo di oggi esplicita, l’amore verso Dio richiede il coinvolgimento di tutta la persona. Questo amore non è scindibile dall’amore per l’uomo. Non c’è alternativa fra amore per Dio o amore per l’uomo. Lo stesso Solovev afferma che lo scisma dell’amore è la fatale conseguenza del peccato. Questo è ciò che infatti Cristo ha risposto all’uomo ricco che chiede cosa fare verso Dio per avere la vita eterna, cioè amare l’uomo. Cristo sottolinea ora che davanti allo scriba si trova Dio che lo chiama, il Verbo di Dio che è Figlio e che è vero uomo. Da ora in poi non si potrà più creare una specie di religione verso Dio e avere un atteggiamento verso il prossimo che non parta dallo stesso atteggiamento.
La realtà dalla quale dipende tutto è la fede ed è dunque l’accoglienza che converte l’uomo nell’espressione d’amore. In Galati 3 Paolo fa vedere che prima della legge viene la fede. Oggi si denuncia l’incapacità degli scribi di vedere in modo organico e unito l’insegnamento religioso e l’esperienza d’amore, perché l’accoglienza di Cristo abilita l’uomo all’amore secondo Dio. Infatti in seguito a questo episodio Cristo si stupisce di come gli scribi riescano a parlare del Messia come figlio di Davide e non riescano a cogliere che proprio questo Messia è il suo Signore. Mette in evidenza che il titolo che gli rivolgono, Figlio di Davide, lascia una interpretazione su di lui e il tempo messianico riduttiva e condizionata dalla mentalità di questo mondo. Perciò non riescono a cogliere che Cristo come Messia è la manifestazione di Dio che per amore dell’uomo dona il suo Figlio e che a questo Dio anche lo stesso Davide si è sottomesso chiamandolo Signore.
p. Marko Ivan Rupnik