V domenica del tempo ordinario
Il nostro Dio è un Dio… strano: vuole servirsi solo di uomini peccatori, o meglio, che sanno di essere peccatori! Potrebbe essere questa la conclusione della lettura dei brani odierni, che ci mettono davanti le figure del grande profeta Isaia e degli apostoli Pietro e Paolo. Pur tanto diversi, questi uomini hanno in comune due realtà: chiamati da Dio, si riconoscono peccatori.
Isaia si accorge di essere alla presenza del Dio immenso quando gli viene donata la visione dei Serafini, che cantano le parole, divenute poi la lode di tutti i cristiani nel momento centrale della liturgia: “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria”.
Le parole così belle dei Serafini fanno risaltare l’impurità dei nostri discorsi, sempre echeggianti un po’ di egoismo. Persino le parole che formuliamo per rivolgerci a Dio esprimono l’attenzione a noi stessi, ai nostri problemi, ai desideri della nostra carne. Sono parole colorate di egoismo, escono da labbra immonde. Isaia ne è consapevole, e ritiene che questo sia motivo sufficiente per rifiutare la chiamata di Dio. E invece non riesce a impedire che Dio lo chiami per servirlo. Dio ha strumenti per purificare, per far sì che le labbra dell’uomo possano pronunciare le sue parole. Per lui il peccato dell’uomo non è ostacolo insormontabile.
Anche Gesù sa che ogni uomo è peccatore e che i discepoli li deve trovare tra i peccatori. Dopo aver parlato alla folla dall’insolita cattedra galleggiante, la barca di Simone, egli vuole premiare questo suo ospite con i suoi compagni; in tal modo vengono messe alla prova la sua umiltà e la sua obbedienza: in pieno giorno gli propone di gettare le reti. Simone con difficoltà obbedisce. Egli sa che Gesù, venendo da Nazaret, non se ne intende di pesca sul lago, però sa che la sua parola è Parola di Dio. L’obbedienza difficile viene premiata. Il premio però gli costa nuove fatiche e nuovi pericoli: le reti corrono il rischio di spezzarsi, egli deve chiamare aiuto, e due barche minacciano di affondare. Come è strano il miracolo di Gesù! È un grande dono, ma costa fatica ed esige fede, perché rende insicuro tutto, le ricchezze e la vita stessa.
Simone ha capito però una cosa, anzi due: egli ha compreso di trovarsi davanti a un uomo che, difficile a credere, è come Dio; inoltre ha riconosciuto d’essere peccatore. Quali peccati ha compiuto Simone? Forse egli non ha mai commesso azioni particolarmente gravi, ma l’essere uomo, col cuore rivolto a se stesso e alle cose della terra, è situazione di distanza dal Dio dell’amore gratuito e fedele. Egli capisce di non essere degno di stare alla presenza di Gesù, il santo di Dio, il Messia.
Gesù anzitutto lo rassicura: “Non temere”! È come dicesse: «Sei davvero alla presenza di Dio, ma lui può venire vicino a te, anche se tu sei peccatore. Chi è vicino a Dio viene liberato dal suo peccato, e può collaborare con l’amore del Padre». Ed ecco che Simone e i suoi compagni lasciano tutto, anche il grosso carico di pesci. Gesù non ha voluto arricchirli, ma attirarli a sé. Quando le mani ed il cuore di Simone sono liberi, egli può seguire il Signore, può stare con lui anche continuando a riconoscersi peccatore. E Gesù manifesterà la propria grandezza facendo di Simone e dei suoi soci “pescatori di uomini”. Essi salveranno gli uomini dalla situazione di insicurezza, di pericolo e di morte in cui si trovano a causa del peccato e dell’egoismo, consegnandoli alle mani sicure del Figlio di Dio.
Questa è l’opera che anche San Paolo sta facendo verso i Corinzi. La seconda lettura ce lo presenta mentre, con fedeltà decisa, obbediente e umile, annuncia loro il vangelo. È un ‘vangelo’, una gioiosa notizia, che ha molti testimoni, in particolare i Dodici apostoli. Egli è stato persecutore della Chiesa, grande peccatore quindi, indegno di pronunciare e di scrivere le parole della fede. Proprio per questo egli sta sperimentando la grazia di Dio, di quel Dio che lo ha amato e lo ha scelto. Dio non si vergogna di avere apostoli che prima erano stati fortemente impegnati contro di lui, anzi, la loro conversione testimonia una bontà e una sapienza più grandi di quelle che l’uomo potrebbe immaginare. Paolo perciò annuncia con forza e decisione la morte, la sepoltura e la risurrezione di Gesù, fatti che fondano la conoscenza del Dio vero e che sono garanzia della verità del suo amore.
Le vicende di Isaia, di Pietro e di Paolo sono per noi dei fari luminosi che ci fanno vedere l’immensa misericordia del Padre e ci stimolano ad essere disponibili comunque ad ogni sua chiamata che ci impegni a piccoli o grandi compiti. Siamo sempre indegni, ma se lui chiama, non possiamo impedirgli di manifestare la sua grandezza e di edificare il suo Regno, servendosi proprio della nostra piccolezza e debolezza.
don Vigilio Covi