V Domenica di Pasqua
Tutta la liturgia di oggi ruota attorno all’aggettivonuovo. L’ingresso segnala il cantonuovo, la colletta il fatto che Dio, nel suo Figlio,rinnovagli uomini e le cose, l’Apocalisse rivela: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”, il canto al vangelo e il vangelo: “Vi do un comandamento nuovo”, l’antifona dopo la comunione parla di vitanuova.
È strano come il brano evangelico di oggi non riporti nella sua interezza il versetto 33, che suona: “Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire”. Quel ‘dove vado io’ è essenziale per la comprensione del comandamento nuovo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri” (Gv 14,34).
Sottolineo subito che il ‘come’ dell’amore non indica uguaglianza, ma intimità. Sarebbe oltremodo presuntuoso aspirare ad amare con la stessa radicalità e intensità del Figlio di Dio. Invece – e questa è la promessa di Gesù e non solo il comandamento! – amarci come lui ci ha amati indica da dove pescare questo amore, da dove prende vigore; indica il dinamismo che lo sottende, lo scopo che lo caratterizza, la modalità di compimento che lo esprime. Per questo è importante comprendere a cosa allude Gesù quando dice che dove va lui i discepoli non possono ancora venire. Subito dopo, infatti, interviene Pietro che, protestandogli il suo amore, pronto a morire per lui, si chiede perché non possa subito seguire Gesù.
Gesù allude alla sua morte e risurrezione come rivelazione dell’amore del Padre tanto che, commentando l’uscita di Giuda dal cenacolo, Gesù parla della glorificazione sua e di quella del Padre. Ora, la gloria ha a che fare con lo splendore dell’amore che su tutto sovrasta e tutto ingloba. Gesù, quando dice che dove è lui vuole che anche i suoi discepoli siano, intende: Io sono nell’amore del Padre per voi e se voi restate in me, anche voi partecipate all’intimità e al dinamismo di quello stesso amore. Quell’amore è l’energia dello Spirito che conduce Gesù alla croce nella piena intimità con il Padre e nella piena solidarietà con l’umanità, tanto da trasfigurare la sua morte in radice di vita e di vita eterna, come apparirà nella sua evidenza agli apostoli con il vedere il crocifisso risorto.
Se Pietro non può seguire subito Gesù non è perché, invece che morire per lui, finisce per tradirlo, ma perché Gesù non ha ancora compiuto la sua ‘traversata’ e Pietro non sa ancora dove prendere le energie per vivere di quell’amore che pur gli protesta sinceramente. Solo dopo che Gesù ha mostrato, nella sua umanità, qual è l’intero tragitto della vita, allora anche i discepoli, stando in lui, il Vivente, potranno vivere di quello stesso amore. In questo senso, il ‘come io vi ho amati’ non si riferisce alla vita di Gesù che gli apostoli avevano in precedenza conosciuto, ma alla vita di Gesù che scaturisce dalla sua morte e risurrezione e di cui i discepoli saranno messi a parte. E se Gesù dà il suo comandamento nuovo dopo che Giuda è uscito e dopo aver lavato i piedi anche a lui, è perché l’amore dei discepoli, come quello di Gesù, deve essere volto a tutti, indistintamente, perché il Padre sia glorificato.
In effetti, la novità del comandamento dell’amore è posta tra lagloriache rifulge in Gesù nel suo farsi dono agli uomini da parte di Dio e ilsegnoche rivela al mondo l’appartenenza dei discepoli al loro Signore. Proprio perché il crocifisso èil re della gloria, non si può non cogliere quella gloria come lo splendore dell’amore che si è riversato sugli uomini e che farà dire agli apostoli:“dobbiamo entrare nel regno di Dio attraverso molte tribolazioni”(At 14,22). Sono le tribolazioni come fatica di fedeltà all’amore, come pazienza dell’amore che non viene meno nelle avversità e nelle afflizioni, come vestito di umiltà che segnala la forza dell’intimità con quel Signore che si è conosciuto e che ci ha conquistati. Di fronte al mondo, invece, quella gloria diventa segno di appartenenza, segno rivelatore e segno attirante: rivelazione di un’esperienza forte di fede nel Cristo, capace di farci vivere e di far desiderare ad altri di vivere secondo quella novità di amore che rinnova alle radici la nostra umanità.Accogliere Gesù significa anche accogliere che in noi si esprima la dinamica di rivelazione che lo caratterizza: mostrare quanto è grande l’amore del Padre per i suoi figli e riunire i figli di Dio dispersi.
È singolare che Gesù non faccia mai comando ai discepoli di amare lui, mentre il comando di amare Dio e amare il prossimo è diretto. Quando allude all’amore per lui, lo suggerisce attraverso le espressioni: ‘se mi amate, osserverete i miei comandamenti’; ‘rimanete nel mio amore’. Verso di lui invece il comando diretto è: ‘credete in me’. Perché? Qui si può comprendere il nocciolo dell’amore di cui Gesù ci fa comando. L’amore vicendevole non rivela la generosità dei cuori, ma l’esperienza dell’incontro con Gesù; l’amore vicendevole parla di Dio che ha toccato il cuore dell’uomo e non dell’uomo che è diventato buono e perciò è in rapporto diretto all’esperienza della fede, quella fede di cui Gesù ci fa comando nei suoi confronti.
Nella visione dell’Apocalisse della Gerusalemme celeste, come il luogo dove l’amore di Dio è gustato e condiviso, risuonano le parole: “Ecco la tenda di Dio con gli uomini! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio” (Ap 21,3). Se all’inizio della creazione l’immagine del paradiso è un giardino dove l’uomo viene collocato, alla fine della storia l’immagine è una città che l’uomo ha contribuito a costruire. L’immagine della città suggerisce che la felicità sta nelle relazioni, sta nella fraternità goduta nell’intimità dell’unico Padre, che ci ha attirati nell’umanità del suo Figlio, perché avessimo la sua vita e la vita in abbondanza. Il paradiso è il compimento del nome di Gesù, l’Emmanuele, il Dio con noi!
don Vigilio Covi