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XX domenica del tempo ordinario

La liturgia ci presenta la continuazione del discorso di Gesù a Cafarnao sul pane di vita, ma oggi la prospettiva che suggerisce è particolare. È come se si riferisse al cuore dell’uomo individuandone la tensione di fondo con la lettura dei Proverbi, il contesto in cui opera con la lettera di Paolo agli Efesini e l’esperienza desiderata di vita con il brano evangelico. Ci svela cosa cerchi l’uomo, in quali condizioni, per quale esperienza di vita. La grande questione è la seguente: come ottenere l’intelligenza della vita. Essa appare desiderabile, chi non la vuole? Non è segreta, non è inaccessibile, non è complicata, non richiede studi particolari. Eppure, non è proprio a portata di mano. E nonostante tutto, il cuore la gradirebbe sempre

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Assunzione della Beata Vergine Maria

Un bellissimo tropario della liturgia bizantina canta: “Nella tua maternità hai conservato la verginità, nella tua dormizione non hai abbandonato il mondo, o Madre di Dio; hai raggiunto la sorgente della Vita, tu che hai concepito il Dio vivente e che con le tue preghiere libererai le nostre anime dalla morte”. Cosa proclamiamo nella festa di oggi riguardo alla Madre di Dio? Che è stata assunta alla gloria celeste col suo corpo e con la sua anima e dal Signore esaltata come Regina dell’universo, partecipando in modo singolare alla risurrezione del suo Figlio e anticipando quella che sarà la risurrezione di noi tutti. Della sua morte si dice soltanto che non ha patito la corruzione della tomba. Il nome antico della festa è ‘Dormizione della Vergine’ con l’evidente allusione al mistero del suo transito. È tradizione comune però pensare alla sua morte in questi termini: “Se l’ineffabile suo frutto, per il quale essa è divenuta cielo, ha volontariamente accettato la tomba come un mortale, potrà forse ricusarla colei che senza nozze lo ha generato?”. E ancora: “Tomba e morte non hanno trattenuto la Madre di Dio, sempre desta con la sua intercessione e immutabile speranza con la sua protezione: quale Madre della vita, alla vita l’ha trasferita colui che nel suo grembo semprevergine aveva preso dimora” (dalla liturgia bizantina).

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XIX domenica del tempo ordinario

Tutto il lungo discorso eucaristico di Gesù narrato nel cap. 6 di Giovanni può essere letto come l’illustrazione della difficoltà per l’uomo di cogliere e accogliere i segreti di Dio. Davanti alla difficoltà di riconoscere la sua provenienza divina, Gesù esorta: “non mormorate tra voi”. Mormorare vuol dire prendere le distanze, vuol dire uscire dalla fiducia, uscire da una storia con. Ma appena si esce da una storia con, tutto si fa incomprensibile e soprattutto si resta nell’impossibilità di soddisfare i desideri del cuore, si resta cioè sulla nostra fame.

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XVIII domenica del tempo ordinario

Il segno del pane che abbiamo visto nel vangelo della scorsa domenica è stato frainteso e non compreso.

La gente si mette alla ricerca di Gesù ma il verbo che Giovanni usa è un cercare che sempre contiene una connotazione di male, di qualcuno che cerca una cosa per i suoi scopi, cioè sapendo in anticipo cosa cerca e volendo trovare ciò che cerca. Quindi in fondo vuol dire non cercare mai veramente Gesù così come Lui vuole rivelarsi ed essere trovato. È usato questo termine per Maria di Magdala in Gv 20, 15 dove poi Maria vorrebbe trattenerlo ed è usato tra le altre volte in Gv 10,39 dove le autorità lo vogliono prendere per ucciderlo.

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XVII domenica del tempo ordinario

Dal vangelo di Marco si passa con la liturgia di oggi per quattro domeniche al vangelo di Giovanni. La cornice di questo episodio è la Pasqua dei Giudei (cf Gv 6, 4). Gesù passa all’altra riva, non viene precisato né di quale riva si tratti, né come passi ma solo che una grande folla lo segue. Già questi due fatti ci rimandano certamente all’esodo, a Mosè e al popolo che lo segue. Qui il popolo sta seguendo il vero Messia vedendo i segni che Lui faceva sugli infermi e questo Messia acquista immediatamente nel racconto una dimensione definitiva, divina perché venendo nell’altra riva, in un altro mondo, sul monte, Lui si siede con i dodici, che è proprio la stessa immagine che in Matteo ci lascia Cristo stesso dischiudendo il compimento escatologico (Mt 19, 28) in una visione escatologica di una liberazione piena, dove si giunge a un mondo definitivo in cui Cristo prende il possesso del potere e del giudizio (cf Ap 4, 9.11; 5, 13; 7, 12;14,7). Inoltre la scena escatologica si disegna sullo sfondo dell’agnello Pasquale (cf Ap 5, 7-9; 20, 12). Perciò è del tutto chiaro che l’esodo che ora viene realizzato da Cristo è il passaggio alla salvezza definitiva.

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XVI domenica del tempo ordinario

Gli apostoli sono appena tornati dalla missione ma evidentemente “tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato” (Mc 6,30) non basta. C’è davvero un equivoco di fondo. Cristo infatti non li ha mandati ad insegnare.

Due termini ci aiutano a delineare i contorni della questione:ekerixan,predicarono e insegnarono,edidaxan. Quando Cristo ha convocato gli apostoli, li ha costituiti Dodici affinché stessero con Lui e “anche per mandarli a predicare” (Mc 3,14). Il punto essenziale rimane comunque lo stare con Lui dal quale nasce anche il modo, farsi accogliere per far leva sull’accoglienza degli altri. Su questa accoglienza si innesta il predicare per cui li ha costituiti all’inizio, è la preparazione del terreno sul quale cade la parola, cioè l’evento Cristo, il Regno dei cieli che è qui. Questo sottende il predicare ma certamente al sesto capitolo è ancora prematuro perché manca esattamente l’esperienza fondante della pasqua che infatti, quando Cristo comincerà a prospettare, non riescono ad accettare, una tale via di salvezza provoca repulsione (cf Mc 8, 14-21.31-33). Dunque non possono predicare in nessun modo perché ciò che manca loro è questo stare con Lui, manca in loro per primi l’accoglienza dell’esperienza vera di Cristo come Messia. Allora diventa facile insegnare, ma l’insegnamento che non si personalizza in Cristo e non viene dalla sua Pasqua è fuorviante. Si presta all’ideologia, al moralismo.

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XV domenica del tempo ordinario

Oggi tutte e tre le letture ci invitano a riflettere sulla chiamata di Dio. Non è chiamata di Dio solo quella che riguarda le persone a lui consacrate e i sacerdoti, ma è chiamata di Dio anche la vita di ogni cristiano. Ogni cristiano è una persona che dalla vita immersa negli interessi materiali, è chiamata a iniziare un cammino in compagnia di Dio. In questo cammino, un po’ alla volta, impara ad occuparsi di ciò di cui Dio stesso si occupa, cioè le relazioni nuove tra gli uomini. Occupandosi della vita materiale nell’uomo si sviluppa soltanto l’egoismo, e questo provoca sofferenza e chiusura dei cuori. Dio, con la sua parola, ci rende attenti invece alla presenza degli altri, alle loro sofferenze, ad essere aiuto e sollievo gratuito e generoso dei piccoli e dei miseri. Questa attenzione rende noi stessi gioiosi e coscienti che la vera vita è quella di chi ama, e ama gratuitamente. Perché quest’amore gratuito sia sempre vivo in noi ci è necessaria l’intimità con Gesù, il Figlio di Dio.

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XIV domenica del tempo ordinario

La prima lettura ci riferisce il mandato conferito al profeta Ezechiele: egli deve annunciare la Parola di Dio al popolo diventato ribelle. La superbia impedisce agli israeliti di ascoltare parole profetiche, parole che comunicano luce e guidano sulla strada della salvezza. Nonostante ciò Dio vuole che si accorgano che egli non li abbandona, che vuole rivolgere loro la parola, che un suo profeta è ancora presente nel mondo.

Dell’esistenza di un profeta si accorgeranno quando Gesù comincerà ad insegnare nelle sinagoghe della Galilea. Ma allora sarà ancora la superbia, camuffata in vario modo, che continuerà ad impedire al popolo di accogliere e di ascoltare la Parola del Padre.

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XIII domenica del tempo ordinario

Nel vangelo di oggi Cristo torna nella sua terra dal paese dei pagani, dove ha cominciato la liberazione dal demonio. Questo suo ritorno è segnato dalla manifestazione di una nuova realtà, cioè la realtà della fede, la realtà che si basa e si realizza in pienezza solo in una relazione di affidamento totale ad una persona concreta che è Gesù di Nazareth, vero uomo e vero Dio. È la relazione che è costituiva dell’esistenza dell’uomo e perciò salva tutta la vita nella sua interezza, dice di dare da mangiare alla figlia di Giairo a far vedere che la vita che riceviamo da Lui – e che noi nel Battesimo abbiamo ricevuto veramente da Lui –  non è alternativa alla vita che abbiamo ricevuto dai genitori, ma è una vita che assorbe l’altra salvandola. Non può evitare la morte, ma nell’unione con Cristo questa morte è un passaggio. È interessante perché in tutti e due gli esempi torna il numero 12. L’emorroissa soffre da dodici anni e dodici anni ha la bambina: dodici è il numero di Israele, le dodici tribù sono la pienezza del popolo ebraico, di tutto Israele. Tutte e due vengono chiamate figlie: una lo è e l’altra è così chiamata quando viene guarita. Questa immagine di Israele dice che stiamo parlando della figlia di Sion, colpita davvero da una ferita mortale (cf Ger 14,17). Nessun medico riesce a guarirla, anzi a causa dei medici l’emorroissa è peggiorata senza che servisse a nulla dare tutto ciò che aveva per guarire.

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Natività di san Giovanni Battista

Giovanni Battista è l’unico santo di cui la Chiesa festeggia, come per Gesù e la Vergine Maria, la nascita in questo mondo. La festa dei santi commemora il giorno della loro ‘nascita’ al cielo ossia il giorno della morte. Invece, per il Battista, nella tradizione si danno addirittura tre feste: la festa della sua concezione (23 settembre), la nascita (24 giugno), il martirio o la decollazione (29 agosto). Evidentemente la Chiesa riconosce qualcosa di assolutamente speciale nella figura del Battista, il Precursore, Colui che indica ormai venuto tra gli uomini il Salvatore.

«Diceva Giovanni sul finire della sua missione: “Io non sono quello che voi pensate! Ma ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di slacciare i sandali”». Così San Paolo quando presentava il vangelo ai suoi ascoltatori ebrei. La venuta di Gesù è stata preparata sapientemente da Dio attraverso la parola e la testimonianza di un uomo stimato e venerato dal popolo. In tal modo il Signore non ha dovuto presentarsi da se stesso: sarebbe potuto sembrare per lo meno orgoglioso o superbo. Noi infatti siamo dello stesso parere dell’apostolo che dice: “Non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda” (2Cor 10,18). Non siamo capaci infatti di dar fiducia a quei predicatori di religioni che si presentano da se stessi come salvatori o come inviati di Dio. Il Signore, Dio, ci ha presentato Gesù attraverso la parola del suo precursore. Di lui oggi celebriamo la nascita: occasione per contemplare i modi di fare di Dio, che vuole preparare l’accoglienza delle sue grandi opere, cioè vuole preparare gli uomini ad accorgersi del suo agire per noi e tra noi.

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