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Terza domenica di Avvento

“Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele; esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico”; “Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!”. Così la liturgia, oggi, accoglie i fedeli: li chiama alla gioia, insistentemente. Per quale ragione?

Quando il Battista riconosce in Gesù l’Inviato di Dio lo riconosce come riflesso della gioia che quell’incontro gli procura. Fin dal grembo materno Giovanni ha esultato di gioia alla presenza di Gesù. Da adulto, ormai al termine del suo cammino, di sé dice: “Ma l’amico dello sposo, che è presente e lo ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3,29). Così, quando Luca vuol descrivere la premura di Dio per gli uomini, non ha di meglio che narrare la parabola del figlio ritrovato, della pecorella e della dramma ritrovate (Lc 15) dove la rivelazione del cuore di Dio si fa evidente proprio attraverso la sua gioia per noi. Ciò vuol dire ancora che la nostra gioia non può derivare dalla nostra innocenza, perché davanti a Dio suonerebbe solo come una pretesa di giustizia.

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Seconda domenica di Avvento

È essenziale in questa liturgia di avvento riuscire a cogliere il clima, il tono dei testi. Siamo abituati a tener conto dei testi rispetto al loro contenuto, ma incapaci di accordarci sul tono che invece è quello che permette di coglierne il senso vero. La figura di riferimento è Giovanni Battista che comincia a predicare: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri”. Invito, ripreso dalla colletta: “O Dio grande nell’amore, che chiami gli umili alla luce gloriosa del tuo regno, raddrizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spiana le alture della superbia …”.

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Prima domenica di Avvento

È caratteristico che il tempo liturgico si chiuda e si apra con il riferimento allo stesso brano evangelico. L’attesa del Signore che viene è considerata nella sua valenza escatologica (il Cristo glorioso che verrà come giudice alla fine della storia), nella sua valenza profetica (Gesù che entra nella storia con la nascita a Betlemme), nella sua valenza mistica (il Signore che nasce e cresce nei cuori). Al centro dell’Avvento sta la figura di ‘Colui che viene’, espressione che è sempre stata riferita al Messia, a Colui che avrebbe fatto vedere presente il Regno di Dio. Dire ‘colui che viene’ è riferirsi a colui che salva, al Salvatore che realizza la salvezza.  

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XXXIII domenica del tempo ordinario

l ciclo dell’anno liturgico volge al termine e la chiesa contempla le cose ultime per collocare nella loro vera luce le cose presenti. Gesù era appena uscito dal tempio dopo aver elogiato l’offerta dei due spiccioli della vedova e i discepoli lo invitano a contemplare le meraviglie della sua costruzione. Siamo al cap. 13 di Marco e l’evangelista mette in bocca a Gesù un lungo discorso di stampo apocalittico. Mescola in un’unica sequenza gli avvenimenti della morte-risurrezione di Gesù, della distruzione di Gerusalemme, delle tragedie della storia umana, delle prove e del martirio dei credenti, dei segni cosmici alla fine dei tempi, del giudizio finale imminente. Con la predizione della rovina del tempio, avvenuta per opera dei romani nell’anno 70 d.C., mentre i lavori di ricostruzione, iniziati sotto Erode il Grande negli anni 20/19 a.C., si erano conclusi nell’anno 64 d.C., Gesù mette in guardia i suoi discepoli: sappiate sfuggire all’inganno, vegliate! Quell’avvertimento,Vegliate, è l’ultima parola del cap. 13, quella che introduce il racconto della passione di Gesù. Tutto è orientato alla manifestazione della gloria del Signore crocifisso, non semplicemente nel suo aspetto giudicante alla fine dei tempi, ma nel suo aspetto di rivelazione dell’amore del Padre per i suoi figli che costituisce l’unico mistero significativo per il nostro cuore. Così prega la colletta: “donaci il tuo Spirito, perché operosi nella carità attendiamo ogni giorno la manifestazione gloriosa del tuo Figlio”. La stessa immagine suggerisce il canto al vangelo: “Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21,36), da intendere: possiate essere degni di veder manifestato in voi l’amore del Signore in modo tale da vivere la vostra vita nel segno del suo splendore.

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Tutti i Santi

Le preghiere e le letture di oggi mostrano in cosa consiste la gioia della santità: godere dello splendore dell’amore di Dio per noi. E tutti gli sguardi si accentrano sulla figura dell’Agnello glorioso e immolato ‘fin dalla fondazione del mondo’ (Ap 13,8). Il mondo è uscito dall’amore di Dio, di esso è intessuto e percorso, di esso parla, ma quanta tenebra ne impedisce la visione!

Lo sguardo della Chiesa non è però attirato come da un punto di fuga situato oltre la storia, come si trattasse di riempirsi gli occhi con una visione consolatoria. La sua visione parla di un’esperienza quotidiana; parla di realtà ultima ma vicina, più reale delle cose di tutti i giorni. Parla al cuore degli aneliti che lo assillano, delle radici che lo costituiscono, delle tensioni che lo lavorano, dei desideri che l’abitano.

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XXX domenica del tempo ordinario

Il brano evangelico di oggi sia per il racconto che per la collocazione nella trama della narrazione evangelica è molto singolare. Possiamo notare alcuni dettagli. I Padri si sono chiesti come mai Marco nomini il cieco con il suo nome proprio, Bartimeo, il figlio di Timeo. Oltre Giairo e gli apostoli, i personaggi evocati non vengono chiamati nel vangelo con nomi propri. Forse si trattava di un personaggio conosciuto, forse un benestante decaduto al punto che il figlio, cieco, fosse costretto a sedere sul bordo della strada a chiedere l’elemosina. Il modo di rivolgersi di Gesù a Bartimeo ricalca la stessa maniera con cui si era rivolto ai figli di Zebedeo, però con un esito diverso: diniego a chi chiedeva gloria, compassione a chi chiede guarigione. I verbi usati nel racconto hanno accenti assolutamente speciali. Tutti i verbi del brano sono intensivi: Bartimeo grida, non semplicemente chiama; ripetutamente grida (tra l’altro, il grido del cieco è diventato il paradigma dell’invocazione della preghiera di Gesù, della preghiera del cuore!); getta via il mantello, non semplicemente se lo toglie; balza in piedi, non semplicemente si alza; si rivolge a Gesù da dentro un’emozione che aveva già lavorato il suo cuore, sebbene non avesse ancora mai potuto vederlo in faccia e, appena lo vede, non può che mettersi a seguirlo. Tutto il racconto assume una valenza simbolica precisa, che la liturgia fa risaltare

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XXVIII domenica del tempo ordinario

Se il brano evangelico di domenica scorsa aveva presentato lo sbigottimento dei discepoli rispetto all’insegnamento di Gesù sul matrimonio e sulla verginità per il regno dei cieli, ora lo sbigottimento è dovuto al suo insegnamento sulle ricchezze. L’occasione è fornita dalla richiesta di un giovane ricco che interpella Gesù a proposito della vita eterna. Davanti all’esito dell’incontro, che ha lasciato tutti con la bocca amara, Gesù chiosa: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!” e, subito dopo: “Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!”. Il giovane se ne era andato rattristato perché non ha avuto il coraggio di disfarsi delle sue ricchezze, a fronte di una richiesta, liberamente formulata, che evidentemente gli derivava dal fatto che non era soddisfatto della sua vita, pur devota. Va notato subito che Gesù non ha chiesto a tutti di abbandonare le proprie ricchezze per seguirlo, ma solo ad alcuni, a quelli che aveva scelto perché stessero con lui e per mandarli a predicare. L’insegnamento di Gesù, perciò, non riguarda il possesso delle ricchezze.

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XXVII domenica del tempo ordinario

Per comprendere il brano evangelico di oggi dobbiamo collocarlo nel contesto religioso del tempo. La domanda dei farisei, domanda tranello, non verteva tanto sul carattere lecito del divorzio, che anche la Legge consentiva (Dt 24,1: “Quando un uomo ha preso una donna e ha vissuto con lei da marito, se poi avviene che ella non trovi grazia ai suoi occhi, perché egli ha trovato in lei qualche cosa di vergognoso, scriva per lei un libello di ripudio e glielo consegni in mano e la mandi via dalla casa”), ma a quale condizione lo fosse. Nella controversia tra le due scuole di Hillel e Shammai, ai tempi di Gesù prevaleva la prima, più rigorista: il divorzio è lecito solo a una condizione, in caso cioè di unione illegittima (che anche Mt 5,32 contempla) o di adulterio, mentre più tardi prevalse la seconda, più lassista: il divorzio è lecito per qualsiasi motivo. La legge sul divorzio proteggeva la donna dall’accusa di adulterio, perché le permetteva un nuovo matrimonio. Nell’ordinamento ebraico ai tempi di Gesù sembra che spettasse solo al marito l’iniziativa del ripudio, mentre nell’ambiente greco-romano spettava anche alla donna. Così Marco, che scrive per i convertiti dal paganesimo, attualizza l’insegnamento di Gesù per coloro che provenivano dal paganesimo.

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XXVI domenica del tempo ordinario

Il brano di Marco, al di là del contenuto specifico delle parole di Gesù, sottolinea due realtà: l’estrema preziosità della fede nel Signore Gesù e la tensione per il Regno, segreto della vita. Ambedue le realtà sono suggerite dal canto al vangelo: “La tua parola, Signore, è verità; consacraci nella verità” (cf Gv 17,17). Come se, davanti alla proclamazione del vangelo, pregassimo: fa’ che viviamo della verità delle tue parole, aderendovi intimamente, in tutta evidenza per il nostro cuore. In questo brano, Gesù proclama la verità sotto forma di promessa e sotto forma di minaccia. La promessa è rivolta a chi non ha ancora aderito a lui e la minaccia a chi ha già aderito, ma il contenuto della promessa e della minaccia è il medesimo: quanto è preziosa per la nostra vita la conoscenza dei misteri del Regno!

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XXIV domenica del tempo ordinario

Con la proclamazione di fede di Pietro siamo al centro del vangelo di Marco. Gesù prende così sul serio la risposta di Pietro che decide di svelare il suo futuro di passione. È il primo annuncio della passione nel vangelo di Marco. La differenza di risposte alla domanda di Gesù di chi lui sia sta in questo: la gente si riferisce a Gesù, la cui figura affascina, come a colui che è stato inviato a preparare l’arrivo del Messia, mentre Pietro confessa che Gesù è proprio il Messia. Si tratta dello stesso quesito di Giovanni Battista: sei tu o dobbiamo aspettarne un altro? Pietro riconosce che è lui il Messia, confessione che induce Gesù a svelare il suo segreto.

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